L’ultima grana del carcere di Prato: le celle sono troppo piccole
La scoperta è stata fatta grazie al reclamo presentato da un detenuto
PRATO. Ai tanti mali che affliggono la casa circondariale della Dogaia ora ne va aggiunto un altro, certificato da una perizia tecnica, che potrebbe provocare conseguenze abbastanza importanti, negative per le casse dello Stato, positive per i detenuti.
Si tratta del problema della dimensione delle celle, che sono troppo piccole rispetto a quanto previsto dalla legge.
In quasi 40 anni nessuno se n’era accorto, oppure qualcuno aveva fatto finta di non accorgersene. Il carcere della Dogaia è stato costruito alla metà degli anni Ottante ed è stato aperto nell’agosto del 1986. Dunque è una costruzione relativamente recente, eppure stando a una perizia ordinata dal Tribunale di sorveglianza le celle sono troppo piccole.
Da tempo la Camera penale degli avvocati di Prato aveva chiesto alla direzione del carcere (o meglio, ai diversi direttori provvisori che si sonno avvicendati negli ultimi tempi) di poter misurare lunghezza e larghezza delle celle per verificare che rispondessero ai criteri stabiliti dalla legge, ma la risposta è stata sempre negativa. Poi l’avvocato Sara Mazzoncini ha presentato un reclamo per conto di un suo assistito, detenuto alla Dogaia, e questo è stato il grimaldello per ottenere quanto si chiedeva, cioè la misurazione delle celle. Il Tribunale di sorveglianza ha disposto una perizia tecnica e si accertato che sì, effettivamente le celle sono più piccole di come dovrebbero essere. Anzi, risultano accatastate con certe dimensioni che non corrispondono alle dimensioni reali, in certi casi con una differenza di 30 o 40 centimetri.
Che cosa succede adesso? Ovviamente il carcere non può essere raso al suolo e ricostruito, e nemmeno si possono allargare le celle se non a costi proibitivi. Dunque, secondo una qualificata fonte dell’avvocatura, le possibili conseguenze sono due: sconti di pena per chi ha vissuto in spazi più stretti del consentito (oltretutto in un carcere storicamente sovraffollato), ma sembra una soluzione improbabile; oppure la possibilità di presentare ricorsi che potrebbero essere vinti aprendo la strada a risarcimenti economici a favore dei detenuti. È ancora troppo presto per dirlo.
In ogni caso questa nuova grana va a sommarsi alle tante altre che negli ultimi mesi hanno funestato uno dei peggiori carceri della Toscana, se non dell’intero paese.
Un carcere dove l’anno scorso si sono contati ben cinque detenuti suicidi e nel quale fino alla fine di giugno c’erano più smartphone che in un negozio di telefonia. Sono decine quelli sequestrati prima del blitz della Procura che ha ordinato la perquisizione di 127 detenuti, tra cui 111 dell’alta sicurezza, molti dei quali erano riusciti a farsi recapitare telefoni cellulari per comunicare con l’esterno (in un caso anche per postare le proprie riflessioni filosofiche su Tik Tok), oltre a essere riforniti di hashish e cocaina.
Sulle eventuali complicità interne alla casa circondariale sta indagando la Procura diretta da Luca Tescaroli, che sta provando a far tornare alla normalità un carcere dove di normale non c’è molto, compresa la cronica carenza di polizia penitenziaria, di un comandante di ruolo e di un direttore anche questo di ruolo.