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Pisa, donne in piazza per Samantha: «Questo è femminicidio, non una tragedia privata» – Video


	La sfilata delle donne per dire basta ai femminicidi (foto Stick)
La sfilata delle donne per dire basta ai femminicidi (foto Stick)

A Sant’Ermete una fiaccolata commossa e determinata: le donne al centro della mobilitazione chiedono giustizia, sicurezza e un vero cambiamento culturale

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PISA. Davanti, dietro lo striscione che apre il corteo, ci sono le donne. Bambine, ragazze, adulte, anziane. Di Sant’Ermete ma anche di tutti gli altri quartieri della città. È una scelta deliberata e rivendicata, quella del Comitato di quartiere, che ha organizzato la fiaccolata di ieri sera per ricordare la morte («il femminicidio, va usato questo termine» di Samantha Del Gratta.

Per ricordare, ma anche per protestare. Perche i tanti interventi di chi cammina alla testa di un corteo con centinaia di persone chiedono «sicurezza» e «azioni concrete». Intanto il serpentone tocca i punti focali del quartiere, ai quali si aggiunge la casa dell femminicidio.


Sant’Ermete ha manifestato per l’uccisione di una donna che, di fatto, nessuno vedeva mai da sola. Da quando giovanissima si era fidanzata con l’uomo che le ha tolto la vita, Samantha Del Gratta era come chiusa in una bolla. O stava in casa o la vedevano con Alessandro Gazzoli, il 50enne guardia giurata che, a differenza della compagna, nella frazione passava anche a salutare qualche amico o negoziante. Tutto di sfuggita, velocemente. Perché ormai non viveva più la zona come un tempo. Preferiva correre a casa. Dai racconti della mamma di lei, la vittima di femminicidio non poteva neppure cercarsi un lavoro, mentre lei preferiva cercare di andare avanti per non turbare i figli di 20 e quasi 18 anni. Per tutti a Sant’Ermete, però, questa tragedia è arrivata in maniera del tutto inaspettata. Nessuno aveva dato peso al fatto che Samantha non facesse neppure una passeggiata da sola ogni tanto.

L'importanza di usare le parole giuste

Una situazione di cui la Casa della donna ha tratteggiato i contorni sottolineando che, vicende del genere, non rientrano nelle definizioni di ”tragedia familiare”, gesti di “follia” o di “amore disperato” oppure un “raptus di gelosia”. «È un femminicidio le cui radici più profonde le conosciamo– dicono dall’associazione –. Una struttura sociale e culturale che educa e legittima gli uomini a esercitare possesso e controllo sulle donne, a negare il loro diritto alla libertà. Lo ripeteremo sempre: il femminicidio è solo la punta dell’iceberg della violenza maschile contro le donne e le forme di questa violenza sono molteplici, pervasive, presenti in ogni ambito della nostra società senza distinzione di età, provenienza geografica e status sociale. Non solo. Gran parte dei femminicidi si consumano in ambito familiare, tra le mura domestiche, spesso nel silenzio. Dalle prime informazioni che abbiamo sembra che Samantha non si fosse mai rivolta alle forze dell’ordine. Viveva, dunque, la violenza del compagno in solitudine, da sola cercava di gestire quella violenza e il rischio a cui si stava esponendo. Ma qualche segnale d’allarme cominciava a esserci: lui era in ferie forzate e recentemente le liti erano sempre più frequenti ma, come spesso accade, venivano considerate “normali” perché si scambia per un “normale” conflitto di coppia ciò che invece sono atti di abuso, potere e controllo».

La questione della pistola

E poi c’è il profilo dell’omicida di Samantha che, secondo la Casa della donna «è un altro aspetto che merita attenzione. Maschio, bianco, di mezza età, istruito, occupato. In questo caso il femminicida non solo era occupato ma era impiegato come guardia giurata e per via del suo lavoro era armato, era un “regolare” possessore di pistola. Come è possibile che chi possiede una pistola per lavoro, perché “addetto alla sicurezza” non sia sottoposto ad attente e periodiche valutazioni piscologiche?».

L'intervento dell'assessora Nardini

Sulla vicenda è intervenuta anche l’assessora regionale alle pari opportunità, Alessandra Nardini: «Commentiamo episodi come questo quasi quotidianamente e questa vita spezzata si aggiunge tristemente a quella di troppe altre donne, lì a ricordarci che non sono mostri venuti da lontano a mettere a rischio le nostre vite, ma molto spesso gli uomini delle nostre comunità, delle nostre famiglie, perché è lì che si consolidano le dinamiche relazionali squilibrate che dobbiamo sradicare con un’educazione all’affettività e alla parità fin dall’infanzia. Insisto su questo o continueremo a piangere migliaia di vittime innocenti. La vita di una donna non appartiene a nessuno. Nessun uomo può disporne».


 

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