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Lucca Summer Festival, cala il sipario: grandi stelle, perle rare e affari d’oro. Il bilancio

di Lorenzo Mei e Valentina Landucci

	Da sx Jennifer Lopez, Morrissey, Bryan Adams, Santana e il pubblico per il concerto di JLo
Da sx Jennifer Lopez, Morrissey, Bryan Adams, Santana e il pubblico per il concerto di JLo

Adams infiamma il pubblico. Morrissey da piazza Napoleone: «Lucca? Fantastica!». Sold out per l’evento di chiusura della rassegna che ha fatto registrare numeri da capogiro anche quest’anno

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LUCCA. Con gli undicimila che ieri sera hanno cantato in piazza Napoleone i più grandi successi di una stella internazionale del calibro di Bryan Adams va in archivio l’edizione 2025 del Lucca Summer Festival.

Grandi numeri

Diciannove concerti, a cui si aggiungono gli appuntamenti tra dibattito e spettacolo offerti con i Talk. Una parata di artisti internazionali capitanati dalla travolgente Jennifer Lopez, che ha avuto il merito di catapultare Lucca su tutti i media nazionali (e internazionali) per una rassegna, ancora una volta, da numeri – spettatori e incassi – da capogiro. Ci sono stati gli eventi da tutto esaurito – non ultima l’esibizione di Adams ieri sera – e quelli non meno partecipati più da intenditori, miniera d’oro per il Festival e naturalmente per la città. Come ha dimostrato anche la “perla rara” offerta al pubblico sabato sera da Morrissey.

Perle rare

«Qual è il messaggio? Amore? Ma ne siete sicuri? Ma poi che vuol dire amore?». Con Morrissey anche le dichiarazioni di passione dei fan sono sempre materia di discussione, di sfida sarcastica e, quando va bene, scherzosa. L’ex frontman degli Smiths si è presentato in una serata buona, per i suoi standard, piuttosto rilassato e generoso di affetto per Lucca: «Fantastica! » ha detto appena arrivato, dopo mezz’ora di una bellissima videoplaylist che pescava dai New York Dolls a Rita Pavone, da David Bowie a Massimo Ranieri. Ha cantato tutti i brani in scaletta con una voce che non tradisce affatto gli anni passati e si è fatto forte di una band di grande sostanza, valorizzata da un ottimo suono, in cui spiccava la chitarrista lucchese Carmen Vanderberg, acclamata a più riprese.

«Non so se ne siete al corrente – ha detto a un certo punto “Moz” – ma i cantanti, le rockstar, sono un po’ come gli animali da compagnia: a un certo punto muoiono». Come dire: non vi affezionate troppo, detto nella settimana della morte di Ozzy Osbourne. Morrissey d’altra parte è così: non rende mai le cose particolarmente facili, nemmeno a chi lo ama incondizionatamente, nemmeno a sé stesso. Anche il pubblico percepisce questa carica elettrica latente, è indisciplinato, si alza subito anche se le poltroncine da 100 euro dovrebbero garantire a chi vuole comodità e visibilità (per un concerto come il suo forse meglio il posto unico in piedi). Il suo è un popolo che non si trattiene: si avvicina al palco tra le resistenze della security e lancia mazzi di fiori, lettere, indumenti, come sempre ricambiato dal protagonista che prima si libera di un fazzoletto, poi della proverbiale camicia strappata sul momento, infine di una t-shirt con la sua foto e la scritta “Italia”.

Ma a Lucca, dicevamo, è andata bene e la musica ne ha beneficiato: la setlist come al solito aveva (comprensibilmente) una netta prevalenza di pezzi della carriera solista, e pochi (3) flashback ai tempi degli Smiths, al sodalizio con Johnny Marr. Ma che ci fossero aspettative per un concerto di qualità si è capito fin dalle prime note di “Suedehead”, con il pubblico subito impegnato a cantare “I’m sorry”, poco prima che l’immancabile “How soon is now? ” riportasse tutti indietro agli Smiths, appunto, a dichiarazioni cantate come “Sono umano e ho bisogno di essere amato, proprio come tutti gli altri”. Con Morrissey si fa sempre fatica a capire dove finisca la ruvidezza e dove cominci la fragilità, e si ha sempre l’impressione che siano due lati dello stesso tessuto esistenziale. Non c’è bisogno di arrivare a circa metà scaletta, a “Shoplifters of the world unite” per far saltare la gente, perché anche “Speedway”, “You’re the one for me, fatty” e “Rebels without applause” sono momenti topici, come “Everyday is like Sunday” con ancora una volta i fan partecipi nel refrain. Il terzo rimando alla band con cui è diventato famoso è “I know it’s over”, una dozzina di minuti prima di lasciare il palco e rientrare per i due encore, chiudendo con una strepitosa versione di “First of the gang to die”, brano di una ventina d’anni fa, uno dei più amati del percorso solista, con quella erre di “reservoir” arrotata che ormai è un marchio di fabbrica.

Poco prima i musicisti erano passati uno per uno al microfono (poi platealmente disinfettato da Morrissey con uno spray) ringraziando, con un trasporto particolare per Carmen Vanderberg: «Grazie, non potete capire l’emozione a suonare sul palco della città in cui sono cresciuta». «Vedete quell’albero laggiù, quello più alto? Lei è arrivata da lì, sganciata da piccola da un elicottero» aveva scherzato a un certo punto “Moz”, che ha anche ringraziato l’Italia «per Carmen e per Rita Pavone». L’uscita di scena invece è silenziosa, senza inchini, senza saluti, quando ancora la band suonava le ultime note. Qualcuno ha sospettato che si fosse infastidito per qualcosa, qualcuno ha sottolineato che c’erano già stati ampi ringraziamenti, qualcun altro pensa che sia semplicemente Morrissey, prendere o lasciare. 
 

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