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Dietro le sbarre

Celle come topaie e dignità calpestata: cosa succede nelle carceri toscane tra degrado e sovraffollamento

di Libero Red Dolce

	Il carcere di Sollicciano
Il carcere di Sollicciano

Allarme suicidi e una condizione di maxi sovraffollamento ormai strutturale. In numerosi istituti, reparti e celle presentano «muffa, infiltrazioni e assenza di acqua calda»

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Il carcere si prende i più deboli. Una donna incinta al settimo mese attende in una cella. Condannata a una pena di soli otto mesi (quasi nessuno entra in carcere per un periodo così limitato), nessuno ha fatto istanza per una misura alternativa. Affronterà il parto in carcere. Il corpo di una ragazza di 26 anni viene ritrovato senza vita nella sua cella a Sollicciano. È il 7 settembre. Sul muro lascia una scritta, “Elena vi saluta”. Le rimaneva da scontare un anno. Come lei, altri quattro detenuti, solo quest’anno, sceglieranno il buio piuttosto che la prigionia nelle carceri toscane. Gli ultimi due casi sono cronaca degli ultimi giorni: un uomo di 31 anni muore nel sonno per un malore a Livorno, un altro, in attesa di giudizio, si uccide in cella a Pistoia. Quest’ultimo caso, all’interno di una struttura considerata tra le “meno peggio” della regione.

Schegge di storie del 2025 e numeri che rendono impossibile continuare a definire “emergenza” – come spesso si fa pigramente sui media – la situazione nelle carceri toscane e italiane. I dati raccontano l’aumento continuo di detenuti, la fatiscenza delle strutture, l’esplosione di malattie psichiatriche, la mancanza di fondi per la manutenzione e per l’avvio di progetti di formazione, che restano pochi e carenti. È la norma, non l’emergenza.

L’articolo 27 della Costituzione, con quel suo dettato dal sapore un po’ paternalistico della funzione rieducativa del condannato, è disatteso al massimo grado. Lo dicono i numeri.

E l’esperienza. «Tra gli aspetti più urgenti da affrontare – spiega don Paolo Ferrini, referente dei cappellani delle carceri in Toscana – c’è quella dell’espiazione della pena fuori dagli istituti penitenziari. Nelle carceri toscane ci sono un gran numero di persone detenute tossicodipendenti o con problematiche psichiatriche: molti di loro, secondo ciò che permette la legge, potrebbero usufruire di modalità diverse a con risultati migliori nel campo del recupero della persona e con la possibilità di permettere alle carceri di lavorare meglio sugli altri detenuti».

Secondo lo studio “Morire di carcere”, pubblicato da Ristretti Orizzonti, il famigerato carcere di Sollicciano è il quarto in Italia per numero di suicidi: 36 persone si sono tolte la vita dal 2002 al giugno 2025. Tre solo quest’anno. In quella casa circondariale, secondo i dati del ministero della Giustizia aggiornati al 21 dicembre i posti regolamentari sarebbero 502, ma 144 non sono disponibili. I posti reali insomma sarebbero 358. Al momento i detenuti presenti sono 546. Non si tratta di un’eccezione .

La capienza del carcere di Pisa prevede 195 posti regolamentari, di cui 8 non disponibili, per un popolazione carceraria attuale che alla medesima data del 21 dicembre il ministero indica in 270 detenuti. A Livorno i posti regolamentari sono 391, quelli non disponibili 242 e il totale dei detenuti è di 221. Nel carcere di Prato a fronte di 589 posti regolamentari e 599 detenuti presenti, ci sono 47 posti non disponibili. E mentre il Parlamento aumenta il numero dei reati o le aggravanti per reati esistenti - resistenza a pubblico ufficiale, rivolta carceraria, traffico di stupefacenti - i carcerati aumentano. Ma non c’è spazio.

Secondo l’avvocato Enrico Helmut Vincenzini, osservatore di Antigone per le carceri toscane e lombarde, «a Sollicciano le strutture risultano gravemente compromesse: infiltrazioni diffuse, forte disagio sanitario e condizioni di vita complessivamente disastrose. Nel carcere di Prato il problema principale è l’aria di abbandono che si respira. La struttura soffre da tempo di una mancanza di direzione stabile (una situazione ereditata e non imputabile all’attuale amministrazione) e questo si riflette sulla vita quotidiana della popolazione detenuta, che vive in uno stato di evidente trascuratezza. Durante una visita effettuata a ottobre, in quattro ore è stato possibile osservare solo una sezione e mezza, ma siamo stati continuamente bloccati dalle richieste dei detenuti, segno di difficoltà diffuse e irrisolte».

Secondo Antigone anche nelle case circondariali di Livorno e Pisa le condizioni di vita quotidiane sono terribili. «Infiltrazioni, muffa nelle celle e assenza di acqua calda» nei reparti, per quel che riguarda Le Sughere a Livorno e ancora «infiltrazioni, intonaco deteriorato, muffe e umidità» e presenza di «bagni a vista» nelle celle del Don Bosco di Pisa. Non può essere di alcuna consolazione il fatto che dal 2024 al 2025 (ancora in corso) il numero dei suicidi nelle carceri toscane si è ridotto da 8 a 5. L’unico numero accettabile è chiaramente lo zero.

Secondo lo storico e filosofo francese Michel Foucault, la disciplina carceraria moderna emerse tra il XVIII e il XIX secolo per volontà di una cultura riformatrice che attraverso la cultura europea, passando da una giustizia che adoperava il supplizio nei confronti dei rei alla volontà di disciplinare i corpi, tenendoli sotto sorveglianza. Nel «grande rimosso» che è il carcere contemporaneo – come lo definisce l’avvocato Vincenzini –, la dimensione del supplizio dei detenuti e delle detenute rischia di tornare quella principale.

Strade immediate da percorrere ci sarebbero, sta alla politica accoglierle. Recentemente anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha vagheggiato di un indulto. Antigone ha delle proposte, le sintetizza Vincenzini: «La proposta più urgente è un provvedimento di clemenza, come indulto o amnistia, per riportare le carceri sotto una soglia di dignità. E ci sono altre misure subito applicabili: aumentare la liberazione anticipata da 45 a 75 giorni (corrisponde a uno sconto di pena ogni sei mesi, in caso di buona condotta, ndr), depenalizzare reati minori e ampliare l’accesso alle misure alternative, portando l’affidamento in prova fino a sei anni di pena. Le misure alternative riducono drasticamente la recidiva, mentre il carcere, così com’è, non riesce».
 

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