Il Tirreno

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Il dolore

Marah, una di noi: la sua morte simbolo di resistenza

di Libero Red Dolce
La cerimonia funebre (foto Stick) e la giovane
La cerimonia funebre (foto Stick) e la giovane

Una folla commossa al funerale della ventenne palestinese, la mamma: «Qui resta un pezzo del mio cuore»

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SAN GIULIANO. Un cerchio, la bara in legno chiaro coperta dalla bandiera palestinese e da una kefiah. Intorno 500 persone, forse più. È la fotografia di un lutto privato che ha assunto inevitabilmente una dimensione politica. Perché la morte di Marah Abu Zuhri, la ragazza di 20 anni morta all’ospedale di Pisa dopo il trasferimento da Gaza, non è stata quella tragicamente “normale” di una giovane vita spezzata dalla malattia. Ma quella di una vittima di una guerra dove la popolazione è colpita nel diritto alla salute, al benessere e persino alla possibilità di nutrirsi.

Nella mattinata di ieri, 20 agosto, si sono intrecciate le parole intense della madre Nabila, che ha affidato simbolicamente la figlia ai toscani annunciando il suo ritorno in Palestina, e le contestazioni rivolte al presidente della Regione Eugenio Giani da parte degli attivisti pro-Pal. Perdura invece un’assenza: quella del governo italiano. Nonostante le prese di posizione di Israele, che tramite un suo organo ufficiale ha dichiarato pubblicamente che i medici italiani avrebbero omesso una diagnosi - rivelata erronea - dal comunicato di morte della ragazza. Accuse false, mai rigettate al mittente, e nemmeno simbolicamente respinte con la presenza di un componente del governo Meloni. In rappresentanza delle istituzioni c’era la prefetta di Pisa Maria Luisa D’Alessandro.

Fin dall’inizio della cerimonia la madre di Marah ha preso posto accanto all’ambasciatrice palestinese in Italia Muna Abuamara e all’imam di Firenze Izzedin Elzir. Vestita di nero, estremamente composta, era lì per la sua Marah. Con dignità. Aveva scelto il silenzio finora, rifiutando le interviste della stampa. In quest’occasione ha deciso di parlare per sua figlia e nel saluto pubblico si è rivolta all’Italia. «Io lascio un pezzo del mio cuore, mia figlia, da voi. State vicini a lei, perché esserle vicini è essere vicini alla Palestina». L’assemblea, composta da oltre 500 persone, ha risposto con un applauso lungo e commosso. «Voglio ringraziarvi a nome mio e a nome del popolo palestinese. Ho lasciato Gaza per provare a curarla ma purtroppo ha lasciato questa vita».

Durante la presa di parola del presidente Giani, una parte dei presenti ha manifestato apertamente il suo dissenso, contestando la sua presenza e le scelte di approvare la base militare di Coltano e la nomina di Marco Carrai alla guida della Fondazione Meyer, per il suo ruolo di console onorario di Israele. Nonostante i cori - «Vergogna» e «Stai zitto» - Giani ha portato a termine il suo intervento: «I nostri medici – ha aggiunto –- hanno fatto tutto il possibile per Marah, come lo stanno facendo per i tre bambini che sono attualmente al Meyer di Firenze e per gli altri che sono all'ospedale di Cisanello a Pisa. Questo è il modo di essere vicini a un popolo che deve essere riconosciuto come Stato. Questo è lo scudo principale per i palestinesi di Gaza: essere riconosciuti Stato libero, indipendente e sovrano e quindi anche più difendibile da parte della comunità internazionale. Oggi auspico che il governo italiano faccia quello che stanno facendo la Francia, e l'Inghilterra e che la Toscana ha fatto con una legge approvata in consiglio regionale».

La contestazione è continuata sino alla fine dell’intervento, applaudito comunque da chi, ed erano diversi, non ha gradito il momento scelto per manifestare il dissenso. Arrivato da quella parte di movimento pro-Palestina che negli ultimi due anni ha portato avanti un’attività costante di supporto alla causa palestinese, anche in momenti di maggiore disattenzione e indifferenza dell’opinione pubblica sul massacro della popolazione civile portato avanti dall’esercito israeliano dell’Idf. A calmare gli animi è intervenuto l’imam di Pisa Mohammad Khalil, che fin dal primo giorno dell’arrivo delle due donne è sempre stato al loro fianco: «Si tratta di una cerimonia religiosa per una defunta, cerchiamo di mantenere l’atteggiamento dovuto in questa circostanza». A ritornare con un monito diretto al governo italiano è stato l’imam Elzir: «Ringrazio anche il mio governo, il governo italiano, ma vorrei ringraziarlo dicendo di non mandare più armi allo stato criminale di Israele. Non abbiamo bisogno di curare bambini dopo che abbiamo mandato armi per ucciderli. Chiediamo di rispettare il diritto internazionale».

Parole forti di condanna a Israele sono arrivate dall’assessora regionale Alessandra Nardini, anche lei presente ai funerali: «Sono indegne le accuse mosse al personale sanitario del nostro ospedale pisano, che ha agito con professionalità, competenza, dedizione e umanità, come sempre». 

La centralità simbolica di questo funerale, a tutti gli effetti quello della prima vittima di guerra palestinese morta in Italia, è confermata dalla presenza dell’ambasciatrice Abuamara, che è intervenuta tramite il portavoce Issam Al Khadiri: «Oggi diciamo che non si può cancellare la vita di una ragazza, come non si può cancellare la vita dei palestinesi. Marah è la prova vivente della resistenza e della lotta palestinese, rappresenta tutti i palestinesi che stanno soffrendo di fronte al genocidio. Noi salutiamo Marah ma diciamo che lottiamo per la giustizia e per la dignità dei palestinesi e degli esseri umani. Possa la sua anima riposare in pace e che noi possiamo trovare nella sua memoria la forza di continuare, a vivere e ad amare un futuro in cui nessuna vita venga spezzata dalla violenza e dal razzismo. Dignità per tutti i popoli del mondo. E Palestina libera». La sepoltura è poi avvenuta in forma privata, come desiderato dalla famiglia.

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