Firenze, massacrata dal marito a colpi di roncola: l'aggressione in casa con le bimbe e l’allarme disperato della madre della donna
È successo a Fiesole. L’uomo non voleva che uscisse da sola. Operata a Careggi, la sua vita è appesa a un filo
FIRENZE. Davanti al cancello c’è una casetta di plastica rosa e verde, le finestrelle quadrate, uno scivolo troppo corto anche per un salto. Dentro, le figlie di Sofia e Yamil, due e tre anni, inventavano mondi d’estate, costruendo storie che finivano sempre in risate. L’altra sera, da quello stesso cortile, non è uscito il suono dell’infanzia ma il tonfo sordo della paura, le urla di una donna colpita a ripetizione, il rumore metallico di una lama che cade a terra.
Montebeni, una manciata di case aggrappate alle colline di Fiesole, di solito si sveglia la mattina con il verso dei merli e si addormenta col vento tra gli ulivi. Sabato sera, poco prima delle 22, quella quiete è stata squarciata: secondo i carabinieri, Yamil Badar, 45 anni, tunisino, ha afferrato una roncola, il ferro lucido e ricurvo usato per i rami, e ha colpito più volte la moglie, Sofia D’Alessandro, 43 anni. Dappertutto: al torace, alle braccia, alla testa, al volto.
A dare l’allarme è stata Simonetta Bracciali, madre di Sofia, architetta conosciuta a Firenze, che si trovava nella casa per trascorrere qualche giorno con la figlia e le nipoti. Ha visto parte della scena, ha urlato, ha preso il telefono. Nella casa accanto vive Alessandro, il padre di Sofia: è uscito di corsa quando ha sentito le grida, ha trovato le bambine ferme, in pigiama, immobili in una stanza. A stare alla prima ricostruzione, solo una avrebbe assistito all’aggressione.
La mamma a terra, però, sì, l’hanno vista. Dopo i colpi del marito, ha provato a fuggire, a scendere il viottolo che conduce verso la rimessa. L’hanno ritrovata a terra, fuori, sangue dappertutto. In pochi minuti via di Collina, la stradina sterrata immersa fra i boschi, si è riempita di lampeggianti blu e di passi rapidi. I sanitari del 118 hanno trovato Sofia a terra, il volto e il corpo segnati dai colpi. L’hanno rianimata, intubata, caricata in barella, portata a sirene spiegate a Careggi. Operata per ore alla testa in Neurochirurgia, ora è in prognosi riservata. È in rianimazione, gravissima, la vita appesa a un filo. Badar non ha tentato di fuggire. È rimasto sul posto, le mani e i vestiti sporchi, seduto su una sedia, in silenzio, muto, lo sguardo perso. Arrestato per tentato omicidio, è stato portato a Sollicciano.
L’inchiesta è affidata alla pm Alessandra Falcone. Non risultano denunce precedenti, ma le liti erano frequenti, tensioni che ribollivano sotto la superficie della routine familiare. Lui era geloso, possessivo, non voleva che Sofia uscisse sola, che vivesse all’occidentale, che le figlie andassero all’asilo. La voleva in casa. Le bambine adesso sono con la nonna materna. Saranno seguite da psicologi e assistenti sociali. «Siamo sconvolti, un gesto di brutale violenza», ha detto la sindaca Cristina Scaletti. Ora Montebeni è tornata silenziosa. La strada polverosa, il vento che piega i cipressi. Davanti al cancello, la casetta rosa e verde è sempre lì. C’è il pendio col vigneto che curava Badar, l’unica attività dopo aver perso il lavoro da operaio prima in una famosa azienda agricola della zona, poi in un’altra. Ci sono il cortile con i giochi, le statuine e i vasi di terracotta sui muretti. Qui si aspetta un ritorno che forse non sarà mai più come prima, perché dietro il cancello ora ci sono i carabinieri. Hanno portato via il babbo, vogliono sapere perché ha fatto male alla mamma.