Prato, gli industriali e la Tari: «La tassa aumenta perché mancano gli impianti»
Dura nota di Confindustria Toscana Nord che esorta la politica ad adeguare gli strumenti per trattare i rifiuti
PRATO. «La Tari è il termometro di un approccio sbagliato». Lo sostiene Confindustria Toscana Nord commentando l’aumento delle tariffe della tassa sui rifiuti che molti Comuni, compreso quello di Prato (+6,8% per le famiglie, +6% per le imprese) stanno decidendo in questi giorni.
«La Tari non riguarda solo le famiglie, ma anche le imprese – si legge in una nota di Confindustria – Accanto ai rifiuti speciali generati dalle aree produttive, la cui raccolta e smaltimento è a totale carico (gestionale ed economico) delle imprese stesse, queste ultime sono anche assoggettate alla Tari per la parte di rifiuti assimilati agli urbani (essenzialmente, quelli prodotti dagli uffici direzionali e amministrativi e in generale dalle aree non produttive). Gli aumenti, quindi, impattano anche sulle imprese, in un momento in cui proprio niente viene loro risparmiato: dai dazi statunitensi, per quanto a ora sospesi, ai costi energetici, dal ristagno dei consumi a forti problemi di concorrenza internazionale. Dal punto di vista delle imprese, sul banco degli imputati c'è sempre - perennemente irrisolta - la carenza in Toscana di impianti finali di smaltimento dei rifiuti».
«E' bene precisare che le manchevolezze che si registrano riguardano soprattutto gli impianti finali, quelli che dovrebbero chiudere il ciclo di vita dei materiali non riciclabili o comunque non riciclati – spiega il presidente di Confindustria Toscana Nord Daniele Matteini – Cioè i termovalorizzatori o altre tipologie di impianti che segnino la chiusura del ciclo dell'economia circolare: ricordo che proprio i principi di quest'ultima stabiliscono che ciò che non può essere recuperato come materia va recuperato come energia attraverso impianti di prossimità, che limitino i trasferimenti. Il sistema confindustriale, a cominciare da Confindustria Toscana, lamenta da molti anni il perdurare di questa situazione. Per ora in Toscana abbiamo visto, recentemente, solo impianti per il trattamento intermedio dei rifiuti, impianti quindi che si limitano ad affinare la selezione dei materiali e a renderli disponibili per i passaggi successivi, riciclo o smaltimento che sia. Ma poi i materiali da smaltire dove vanno? Come sempre in giro per l'Italia e per l'Europa, con costi ingenti e impatti ambientali. Noi tutti, cittadini e imprese della Toscana, paghiamo salato lo smaltimento dei nostri rifiuti presso impianti di altre regioni e nazioni che con quel materiale producono energia. Energia che sarebbe tanto utile anche a noi: il danno e la beffa».
«Gli aumenti della Tari che si registrano attualmente nella nostra area – aggiunge Confindustria – non vengano motivati espressamente con oneri crescenti di smaltimento: tuttavia è evidente che sullo sfondo il problema è e rimane, negli anni, sempre quello. Pur con molte eccezioni legate alle dimensioni urbane (città più grandi solitamente hanno Tari più elevate) e a specificità locali, la tendenza generale in Italia è che nelle regioni settentrionali, dove esiste una ricca dotazione di impianti di smaltimento, i costi sono meno ingenti, mentre accade il contrario nelle regioni centrali, fra cui la Toscana, e meridionali: è una constatazione registrata dallo stesso Ufficio Parlamentare Bilancio (UPB Focus 5-2024)».
«Il Piano rifiuti della Regione Toscana – insistono gli industriali – prevede nei prossimi anni necessità di smaltimento più contenute in conseguenza di una crescente percentuale di riciclo, a sua volta derivante anche da un potenziamento della raccolta differenziata. Ma sono conti che tecnicamente non tornano. Per le norme europee non più del 10% dei rifiuti deve andare in discarica; del restante 90% in tutta Europa si tende a recuperare materia per il 65% e a termovalorizzare per il 25%. Per la percentuale di termovalorizzazione l'Italia è abbastanza in linea, con un 22% che è però una media alimentata soprattutto dalle regioni di oltre Appennino. La termovalorizzazione in Toscana è intorno al 10%, per cui per rientrare nei canoni (tenuto conto che il limite del 10% in discarica non è negoziabile) occorrerebbe un riciclo all'80% dei rifiuti prodotti in regione, percentuale che per molti materiali è tecnicamente irraggiungibile: un obiettivo irrealizzabile anche dal punto di vista tecnico, una vera e propria chimera. Del resto lo stesso piano regionale dei rifiuti parla di arrivare al 65% di riciclo nel 2030: aggiunto il 10% che potrà continuare ad andare in discarica, l'ulteriore 25% da termovalorizzare o comunque da smaltire avrà una sorte di cui il Piano non parla».