Influenza e cronici, l'Asl di Lucca: "Il 34% muore a 3 giorni dal ricovero"
Lucca, i dati del periodo novembre-gennaio rivelati dalla direttrice De Lauretis in conferenza dei sindaci. «Situazione anomala, l’influenza ha nuove modalità». Obitorio completo, riaperta la sala salme
LUCCA. Boom di decessi tra i pazienti finiti in ospedale per colpa dell’influenza.Troppi ricoveri, attese eccessive, assenza di personale e carenza di posti letto. I problemi che arrovellano il pronto soccorso dell’ospedale San Luca sono ormai noti, anche se non del tutto condivisi tra Asl e personale. Ma c’è un altro elemento che inquieta l’azienda sanitaria. Nel periodo a cavallo tra novembre e gennaio si è registrato un boom di decessi tra i pazienti arrivati al pronto soccorso e poi ricoverati: il 34% è morto dopo appena tre giorni. Colpa dell’età avanzata (la media è di 79 anni) e di un’influenza che quest’anno si è rivelata assai insidiosa soprattutto per malati cronici e anziani che sviluppano complicanze. Il dato, comunque preoccupante, è stato illustrato giovedì nel corso della conferenza dei sindaci della Piana dalla direttrice generale dell’Asl Maria Teresa De Lauretis. «L’influenza non è una novità – ha detto la direttrice – ma è la prima volta che si presenta con queste modalità».
A confermarlo ci sono anche altri dati, illustrati dalla dottoressa Michela Maielli, responsabile del San Luca: «Nel periodo novembre-gennaio i tempi di permanenza al pronto soccorso sono aumentati: siamo passati dal 12,44 dello scorso anno al 37,06 di questo. Anche i morti all’interno del pronto soccorso sono aumentati: siamo passati da 6-7 morti nell’arco di un mese a 18. Dati insoliti che ci hanno costretto anche a riaprire la sala di “sosta salme” visto che l’obitorio era al completo». Una situazione fuori dalla norma che è stata confermata (nell’occasione solo a parole, ma nei prossimi giorni cercheremo di recuperare dati al riguardo) anche dalle impressioni di alcuni sindaci presenti all’incontro, che hanno sottolineato come nell’ultimo periodo gli uffici cimiteriali abbiano lavorato molto più del solito.
Un’anomalia su cui si sta riflettendo per cercare di capirne le cause ma anche per trarre indicazioni utili a migliorare il servizio di pronto soccorso. Secondo la direttrice De Lauretis, infatti, il vero problema della struttura in queste ultime settimane è stato rappresentato dai malati cronici e dagli anziani che - come si dice in gergo – si riacutizzano. Diabetici, malati di cuore, persone con problemi respiratori: assaliti dall’influenza questi soggetti hanno sviluppato delle complicazioni che nel 34% dei casi si sono rivelate fatali. L’idea è quella di creare nuovi percorsi, in collaborazione con le specialità mediche, per consentire a questi soggetti di saltare il passaggio al pronto soccorso. Per due motivi: innanzi tutto perché questi pazienti ingolfano la struttura vista la complessità del loro quadro clinico; secondo, perché al pronto soccorso vengono trattati ex novo, mentre sono soggetti con patologie già note alle specialità mediche (pneumologia, cardiologia, ecc) e con una situazione già valutata in passato.
Nei periodi di particolare affluenza (ad esempio durante i picchi influenzali) si cercherà di coinvolgere le case di cura per ovviare anche alla carenza di posti letto. Ma il budget non c’è.
C’è poi la questione dei familiari, che di fronte a un parente in condizioni disperate anche se note, comprensibilmente decidono di portarlo in ospedale per cercare di prolungare la sua esistenza. Una scelta di cuore, che però spesso si rivela inutile visto il tasso di mortalità registrato nell’arco dei tre giorni dal ricovero. E qui, sostiene De Lauretis, c’è da fare una riflessione sul ruolo degli hospice, strutture sanitarie residenziale dedicate al ricovero di pazienti in fase avanzata o terminale. Sul nostro territorio al momento esiste solo l’hospice di San Cataldo, che conta 7 posti letto. «Quello del “fine vita” è un argomento di cui stiamo discutendo anche con l’assessore regionale Stefania Saccardi – ha spiegato De Lauretis – Oggi gli hospice sono occupati prevalentemente da malati oncologici in fase terminale. Stiamo valutando se è il caso di allargare il loro utilizzo ad altri tipi di situazioni. Quella dei malati cronici è una questione che andrà affrontata anche con i medici di base e con percorsi di assistenza domiciliare».
Il ragionamento è razionale per quanto aspro e difficile da digerire, perché presuppone una sorta di accettazione dell’addio a un proprio caro: prima di portare un parente in fin di vita al pronto soccorso, dove rischia di morire ugualmente e per di più su una barella, secondo l’Asl conviene lasciarlo nel suo letto, con la dovuta assistenza domiciliare, o al limite portarlo in strutture dedicate (gli hospice) che consentano un trapasso dignitoso.