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Ferro, il gol e la corsa come Tardelli nell’ 82: «Una liberazione»

Alessandro Lazzerini
Ferro, il gol e la corsa come Tardelli nell’ 82: «Una liberazione»

«Sul rigore ho preso la palla, mi sono isolato e...»

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LIVORNO. Come Marco Tardelli nei Mondiali di Spagna ’82. La corsa di Andrea Ferretti potrebbe rimanere a vita nella storia del Livorno. Al pari di Protti che sale la rete di Treviso o Lucarelli sulla grata di Auxerre. La freddezza di mettere il pallone alle spalle di Pinna e poi girarsi dalla parte opposta per farsi cento metri di campo e andare sotto la Curva Nord. Quella curva che ad inizio anno lo vedeva esultare ogni domenica e che a distanza di mesi ha riabbracciato il suo bomber.

Aveva il fuoco negli occhi Ferretti quando è passato sotto la tribuna per dirigersi sotto la Nord. «È stata una corsa liberatoria – spiega il numero 9 – Per i miei compagni, per quello che abbiamo passato in queste settimane e per quello che mettiamo in ogni allenamento. Per i miei genitori e mio fratello che erano in tribuna». Nel pronunciare queste parole l’occhio diventa lucido. L’emozione è enorme e in più c’è dentro tutta la sofferenza di due mesi da leone in gabbia. Vorrei, ma non posso. Vorrei tornare a trascinare il Livorno, ma non ci riesco, avrà pensato più volte.

Il calcio è strano, vero, ma premia chi non molla mai, chi ci crede fino all’ultimo secondo. E a volte basta un istante, un tocco del portiere sullo scarpino ed un calcio di rigore per cambiare una domenica di giugno e un finale di stagione. Da una prestazione negativa a una serata da sogno. «C’era tutto in quella corsa. Rabbia e voglia di riscatto, perché dopo l’infortunio non sono mai riuscito ad esprimermi al meglio. Il tendine mi tartassa ancora e faccio terapia ogni giorno per provare a mettere in difficoltà il mister nelle scelte. So anch’io di non essere al 100%, ma stringo i denti e sono contento di aver messo il mio zampino in un risultato che spero sia importante. Ma non è ancora finita, dovremo fare una grande prova domenica, siamo solo a fine primo tempo».

Il Livorno però a Pomezia partirà avanti di uno, e con due risultati su tre, grazie proprio a Ferretti, bravo a rimanere lucido in una bolgia dantesca e con un pallone che pesava un quintale. «Ho fatto mente locale su qualche errore del passato e poi ho cercato di isolarmi stando lontano dalle proteste. Ma il gol fa parte dei tre punti e del lavoro della squadra. Abbiamo vinto e ora dobbiamo fare nostra questa promozione».

I TIFOSI

Cento metri alla Jacobs per Ferretti per andare sotto la Nord a prendersi l’abbraccio dei tifosi. Quei tifosi che anche per la finale contro il Pomezia non hanno smesso un attimo di incitare la squadra. Sotto un sole cocente e temperature equatoriali, con i Vigili del Fuoco che li hanno ‘annaffiati’ con gli idranti come si fa nei parchi acquatici. Hanno accolto la squadra con il nuovo, spettacolare, tormentone e hanno sofferto da matti in un primo tempo da dimenticare. Ad inizio ripresa un grido forte, deciso, imperativo per chiedere alla squadra di tirare fuori gli attributi. Detto, fatto. Il cambio di passo degli amaranto e la partita ribaltata. Due boati assordanti dopo i gol di Torromino e Ferretti e l’esplosione finale per festeggiare un risultato importantissimo, arrivato anche grazie all’aiuto dei tifosi.

«Durante la stagione lo abbiamo detto tante volte, ma questa volta sono stati fenomenali – ha detto Giampà nel post gara – Quando intorno all’85’ tutti hanno iniziato a cantare “dai che si fa gol”, vi giuro che mi sono venuti i brividi. Ci hanno dato un’energia e una forza che magari nelle gambe non avevamo. Sono stati decisivi, è stato un momento bellissimo».

In un film a lieto fine questo sarebbe stato l’epilogo perfetto, da sogno. Ma purtroppo manca ancora una tappa, un ostacolo da superare. Perché così sarebbe stato troppo bello e chi tifa il Livorno lo sa: le cose facili qui non capitano mai. «Siamo destinati a soffrire», ha detto Angelini che in pochi mesi ha già capito la prima regola del tifoso amaranto. E allora non resta altro da fare. Preparare il pranzo al sacco e gli zaini. Metterci dentro la sciarpa amaranto e impostare il navigatore verso Pomezia.

Tre ore di macchina, circa 350km per soffrire almeno altri 90’. Tutti in terra laziale per sostenere la squadra. C’è una promozione da conquistare e il popolo amaranto deve fare la sua parte. Con il Livorno. Per il Livorno. Baldi e fieri. Sempre e ovunque.


 

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