Retata anti-droga a Livorno, il procuratore: «Era un suq e ora troveremo i fornitori»
Parla il magistrato Maurizio Agnello: «L'obiettivo adesso è risalire la piramide della droga. Sbagliato però pensare che ogni immigrato sia uno spacciatore, sto notando questa deriva in città, è un errore. La "zona rossa"? Bene se vuol dire più controllo, no ai varchi per accederci»
LIVORNO. «Lo spaccio in piazza Garibaldi era sfacciato, praticamente alla luce del sole: come entrare in un suq con hashish e cocaina. Ma quello che abbiamo messo a segno è solo un primissimo risultato: abbiamo colpito la “manovalanza”, gli ultimi anelli della catena, ora vogliamo risalire la piramide e scoprire chi riforniva queste persone di sostanze stupefacenti».
A parlare, dopo l’operazione delegata ai carabinieri che ha portato all’arresto di nove fra uomini e donne e all’iscrizione nel registro degli indagati di altre 44 persone, è il procuratore Maurizio Agnello.
Procuratore, l’operazione segue di qualche giorno la dichiarazione di piazza Garibaldi come «zona rossa» (l’area urbana istituita dal prefetto per vietare l’accesso alle persone pericolose con precedenti penali).
«È una tempistica casuale, dato che quest’indagine andava avanti da mesi e l’ordine pubblico non è una prerogativa della procura, che agisce solo in presenza di reati. Il contrasto al traffico di stupefacenti, storicamente, è comunque una mia specialità: quando ero alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo mi occupavo prevalentemente di questo, anche se a livello internazionale».
Visti i reati ipotizzati in questa zona della città, lei è d’accordo sulla «zona rossa»?
«Se intendiamo un’area della città in cui intensificare i controlli, sì. Se parliamo invece di varchi controllati no. In ogni caso credo che il prefetto Giancarlo Dionisi abbia veramente a cuore l’ordine pubblico. Con lui c’è grande sintonia, anche perché – così come la questora Giusy Stellino – rivolge particolare attenzione anche ai cosiddetti “reati minori”, parlo in particolare di quelli legati ai motorini. In questo senso noto veramente una grande attenzione, da parte delle istituzioni, verso le piccole forme di illegalità. Ed è un bene. Per questo, ma non solo, mi sento di ringraziare sia la prefettura, che tutte le forze dell’ordine cittadine. Ma anche il sindaco Luca Salvetti, con cui c’è un’ottima sinergia: penso sia un primo cittadino molto attento nel fronteggiare ogni forma di illegalità. Quest’operazione dà anche una risposta, mi consenta la battuta, a tutti quei livornesi che quando vengono fermati in macchina per un controllo chiedono o pensano: “Perché non andate a controllare gli spacciatori di piazza Garibaldi?”. Bene, lo abbiamo fatto».
Sia il prefetto, che la Lega, recentemente hanno chiesto un’intensificazione delle espulsioni. Ventidue sono state le pratiche avviate per allontanare gli irregolari nell’ambito dell’operazione anti-droga appena conclusa.
«Chiaramente non entro nel merito delle indagini, dico solo che è vero che la maggior parte degli spacciatori stranieri è irregolare. In ogni caso non dobbiamo identificare l’immigrato come un pusher: è sbagliato e sono rimasto molto male che in una città storicamente accogliente come Livorno, negli ultimi tempi, parte della popolazione abbia identificato il cittadino di colore come uno spacciatore. È ovviamente un errore, essere immigrato non significa delinquere».
Quest’operazione dimostra che a Livorno il mercato degli stupefacenti è fiorente.
«Esatto: è la legge dell’economia. E c’è molta più domanda rispetto all’offerta. Un fenomeno preoccupante: se un grammo di cocaina costa fra gli 80 e i 100 euro, e il consumo diventa poi abituale, i clienti per poter pagare rischiano di delinquere, saltando dall’altra parte della barricata».