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Alluvione di Livorno, un "angelo del fango": «Sento ancora le grida disperate di chi aveva perso tutto»

di Martina Trivigno
La disperazione di Walter Chiriatti e di un confratello della Misericordia di Antignano nei giorni dell’alluvione
La disperazione di Walter Chiriatti e di un confratello della Misericordia di Antignano nei giorni dell’alluvione

Il volontario Walter Chiriatti fu tra i primi soccorritori a intervenire otto anni fa: «Quando eravamo soli ci coprivamo gli occhi per non vedere quel dolore»

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LIVORNO. «A distanza di otto anni, sento sempre le grida di aiuto di tutte quelle persone. Vedo ancora i loro occhi colmi di disperazione. Ricordo la fatica, la stanchezza, gli stivali immersi nel fango e la voglia di aiutare. Più forte di tutto». Walter Chiriatti oggi ha 45 anni ed è il responsabile della protezione civile della Misericordia Livorno sud-Antignano. Quella mattina (erano circa le 6) del 10 settembre 2017 diede un bacio in fronte ai suoi figli – all’epoca di 7 e 12 anni – e indossò la divisa gialla e blu. Uscì di casa chiudendosi il portone alle spalle, non sapendo che quella sarebbe stata la settimana più lunga della sua vita.

Ed eccolo Chiriatti in una foto pubblicata dal Tirreno nei giorni successivi all’alluvione: seduto su un tavolino di plastica, la testa appoggiata contro il finestrino di un’ambulanza insieme a un confratello della Misericordia, le mani sul viso per provare a non vedere quel dolore troppo grande da sopportare. In quell’immagine – che in sé racchiude fatica e disperazione – c’è l’essenza di ciò che l’alluvione ha rappresentato per Livorno e per i livornesi. Uno spartiacque nella vita di chi ha provato sulla sua pelle le conseguenze della forza dell’acqua e del fango. Che prima di tutto si sono inghiottiti otto vite e poi ogni cosa incontrata sul loro cammino di morte e distruzione.

Chiriatti ricorda ancora quella maledetta notte di fine estate che ha cambiato per sempre il corso degli eventi. E soprattutto non può dimenticare i tristi presagi arrivati – spiega – «sotto forma di saette che illuminavano il cielo intorno alle 3 e le 4». Poi è stato il turno dell’acqua. Un grido prolungato della natura che si è abbattuto tra Chioma e Stagno, ingrossando fiumi, scavalcando ponti, sfondando tetti e finestre, inondando le strade, lasciando dietro di sé soltanto sfacelo. «Quella mattina, quando uscii di casa l’acqua arrivava già al portone, nonostante io abitassi in centro – racconta – . Ricordo che la prima chiamata era per intervenire in via Garzelli. Mi precipitai lì e subito capii che si era appena verificata una catastrofe. La distruzione era totale, non era rimasto più nulla. La gente piangeva fuori dalle case, gridava aiuto e noi ci sentivamo impotenti di fronte a tutto quel dolore». È proprio lì, in via Garzelli, che per la prima volta i soccorritori realizzarono la portata di ciò che era accaduto. «Le macchine sottosopra, il fango ovunque, le case con le finestre sfondate e il livello dell’acqua che arrivava a metà parete – prosegue Chiriatti – . Ecco, forse quello è stato il momento più duro: vedere intorno a noi una distruzione così grande da non sapere neppure da dove iniziare. Poi, però, abbiamo preso coraggio e cercato di infonderlo a chi stava soffrendo. Perché noi in quel momento terribile avevamo una responsabilità: esserci per chi aveva perso tutto e vedeva in noi un sostegno. Non potevamo deluderli».

Così i volontari si sono rimboccati le maniche, iniziando a svuotare case, a ripulire le superfici dal fango, a portare pasti agli sfollati, dando un po’ di conforto alle anime ferite. «A un certo punto ci siamo accorti che non eravamo soli: c’erano i ragazzi della Curva Nord, gli Ultras pisani, i bimbi motosi. Insomma, tutti insieme per aiutare chi aveva bisogno».

Chiriatti riavvolge il nastro dei ricordi e, a distanza di otto anni, ogni singolo istante è rimasto impresso nella sua memoria. «Ricordo che eravamo nelle strade più colpite da mattina a sera – racconta – . Tornavo a casa giusto il tempo di cambiarmi gli abiti sporchi di fango, mangiare qualcosa e ripartire. Fu una settimana lunghissima, la più lunga della mia vita: svuotavamo ciò che restava delle abitazioni, spalavamo il fango e poi servivamo i pasti. Il sistema della Protezione civile organizzò una cucina da campo e noi eravamo lì, in prima linea, per dare un supporto importante in un momento così difficile. Anche le pizzerie preparavano le pizze e le portavano al campo base: ci fu una collaborazione grandissima fra tutti. Lì abbiamo capito che non eravamo soli: eravamo in ginocchio, è vero, ma potevamo ripartire. Quando abbiamo visto così tante persone mosse verso un obiettivo comune, aiutare gli altri, ci siamo detti: “Ci hanno colpito, ci hanno tagliato le gambe, ma insieme possiamo farcela e dobbiamo ripartire più forti di prima”».

Chiriatti spiega, però, che tutto quel dolore non si può mettere da parte, in un angolo remoto. «Vivrà con noi e dentro di noi, per sempre. Quest’anno, poi, ricorre l’ottavo anniversario, otto sono le vittime di quell’immane tragedia – sottolinea – . Ancora oggi il pensiero corre a chi non ce l’ha fatta, a chi ha perso una persona cara – prosegue – . Ricordo i funerali, lo strazio di tutti noi, un peluche sopra una bara fuori dal Duomo. E quel monito, “Mai più”, che ognuno di noi porta con sé, ogni giorno».

E a distanza di otto anni da quel 10 settembre 2017, il soccorritore ha chiuso il cerchio. «Oggi sono il responsabile della protezione civile della Misericordia Livorno sud-Antignano – spiega – e tutti e due i miei figli, Cristiano e Gabriele, di 20 e 15 anni, sono a loro volta diventati volontari. L’alluvione in qualche modo ci ha cambiati, insegnandoci che soltanto insieme possiamo farci forza e rialzarci». E quando chiediamo a Chiriatti cosa gli abbia insegnato l’alluvione, risponde che «la guardia non deve mai essere abbassata, soprattutto adesso con i cambiamenti climatici che incombono, rendendo il clima più imprevedibile rispetto al passato. L’auspicio, per il futuro, è di non doverci più coprire gli occhi per non vedere un dolore troppo grande da sopportare».

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