Grosseto, auto in sosta incendiate: imprenditore condannato a 3 anni
Era finito sotto accusa dopo la visione delle immagini registrate dalla videosorveglianza. Dovrà anche risarcire le parti civili in separata sede
GROSSETO. Un imprenditore di 50 anni è stato condannato perché ritenuto responsabile di tre incendi appiccati intenzionalmente alle auto in sosta in città, tra via Trento e via Santorre di Santarosa, tra il 2023 e il 2024. Tre anni la pena per Riccardo Bennati stabilita dal giudice Marco Bilisari. L’accusa – il viceprocuratore onorario Alessandro Bonasera – aveva chiesto tre anni e otto mesi, per tutte le contestazioni, anche quelle relative al porto illegale di un revolver Hv 38 e di quattro proiettili di quel calibro tenuti nel vano portaoggetti della propria auto, compresa la ricettazione dell’arma, nonché per quella contestazione relativa a una minaccia che Bennati avrebbe effettuato mostrando una pistola che teneva in auto: «Vedrai che oggi ammazzo qualcuno». Ma da quest’ultima imputazione l’imprenditore è stato assolto, perché il fatto non sussiste.
Bennati è stato interdetto dai pubblici uffici per cinque anni ed è stato anche condannato a risarcire le parti civili in separata sede, intanto riconoscendo loro le spese di costituzione per 4. 490 euro (tre le persone interessate, assistite dall’avvocata Valentina Guerriero).
Le motivazioni saranno depositate entro novanta giorni ma i difensori di Bennati, gli avvocati Stefano Antonelli e Franco Balestrieri, annunciano già adesso ricorso in appello. Perché – e questo è ciò che hanno sostenuto nelle loro arringhe – può darsi anche che Bennati sia stato visto da quelle parti perché andava spesso a casa di un amico ma è inverosimile, se non del tutto infondato, che l’imprenditore sia l’autore degli incendi. Perché, tra l’altro, proprio Bennati aveva subìto l’incendio di un pancale all’interno della propria ditta (la Brico & Garden poi finita in liquidazione giudiziaria) come anche di un furgone. E una delle auto incendiate era di sua proprietà. Insomma, sarebbe stato qualcun altro ad avercela con lui e con le persone che utilizzavano le auto o che ne erano proprietarie. Come deve essere stato qualcun altro, sempre secondo i legali, l’oggetto delle richieste di restituzione di certo materiale, che Bennati aveva regolarmente pagato, di cui si è parlato nel corso del dibattimento, quando sono stati sentiti i testimoni.
Bennati era finito sotto accusa anche perché le immagini della videosorveglianza avevano immortalato sia lui sia la sua auto, una Porsche Cayenne, nei pressi della Citroen Picasso andata a fuoco in via Trento la sera del 26 ottobre 2023. Una ventina di minuti prima, intorno alle 22, 30, era andata a fuoco un’Audi Q3 in via Santorre di Santarosa. Altre telecamere in città avevano registrato i passaggi dell’auto in orari compatibili. I carabinieri del Nucleo investigativo avevano appurato che entrambe le auto erano riconducibili a persone che avevano avuto frequenti contatti con Bennati: la Q3 per un contratto di noleggio a lungo termine stipulato da Bennati per la sua società, la Picasso perché in uso alla moglie di un collaboratore dell’imprenditore (e anzi, ha detto la donna in aula, più spesso usata dal marito) . La terza auto è una Lancia Y, andata a fuoco il 5 febbraio dell’anno scorso ancora in via Trento: era di proprietà di una donna, cognata della donna vittima del primo incendio. Il collaboratore di Bennati è il punto cardine: perché rispettivamente fratello e marito delle donne le cui auto erano andate a fuoco in via Trento. A lui, secondo gli accertamenti di indagine, Bennati avrebbe anche chiesto del denaro: e secondo l’imputazione, sarebbe stato il destinatario di minacce (il 2 febbraio) , con una frase («Vedrai che oggi ammazzo qualcuno») accompagnata dall’esibizione di una pistola che l’imprenditore teneva in auto, l’imputazione per la quale l’imprenditore è stato assolto.
Per l’Audi, invece, il discorso è diverso: chi aveva in uso quell’auto aveva spiegato che gli era stata prestata un mese prima da Bennati (che aveva confermato in sede di presentazione di una denuncia in seguito all’incendio) ma di non aver alcun sospetto. I carabinieri avevano poi ricostruito, sulla base delle parole dello stesso imprenditore, che qualche mese prima degli incendi di ottobre chi aveva in uso la Q3 avrebbe preteso da lui a titolo di garante la restituzione di 90mila euro prestata al collaboratore di Bennati stesso.l
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