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«Io il Green pass non lo chiedo»: ristoratore di Follonica chiude la sala interna del locale

Michele Nannini
Stefano Ardiccioni, il ristoratore che ha chiuso la sala interna del proprio locale per non dover chiedere il Green pass ai clienti (Foto Giorgio)
Stefano Ardiccioni, il ristoratore che ha chiuso la sala interna del proprio locale per non dover chiedere il Green pass ai clienti (Foto Giorgio)

«Non essendo sceriffi, ma umili ristoratori, la sala interna non è disponibile»: questo è il contenuto del cartello apparso sul lungomare

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FOLLONICA. Il Green pass continua a essere croce - molta - e delizia - poca - degli operatori commerciali in tutta Italia, specialmente dei ristoratori, alle prese con una normativa che se da un lato ha liberalizzato l’attività all’aperto dall’altro ha sensibilmente ridotto quella al chiuso, possibile solo per i clienti in possesso della certificazione verde. Per le tante strutture tipicamente estive con posti solo all’aria aperta è cambiato poco o nulla, mentre per chi si è trovato a gestire clienti all’interno e all’esterno del locale il paradosso è stato evidente, con il rischio addirittura di avere consumatori desiderosi di rimanere fuori seppur in possesso del Green pass e altri che invece al chiuso non ci possono andare ma all’aperto rischiano di non trovare posto. Inoltre il mai del tutto chiarito dubbio sui controlli da fare ha aggiunto caos alle già enormi difficoltà di gestione. Così c’è chi ha addirittura deciso di rinunciare ai posti al chiuso e di lasciare in funzione solamente la sala all’aperto. E pazienza se i posti diminuiscono di diverse decine di unità.

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«Non essendo sceriffi, ma umili ristoratori la sala interna non è disponibile», si legge nel cartello all’ingresso del ristorante Ardiccioni Mare sul lungomare Italia, a Follonica. Una scelta drastica, che il gestore del locale ha preso senza indugio una volta entrato in vigore l’obbligo della certificazione per i posti al chiuso. «La normativa sul Green pass nei ristoranti è una scelta ipocrita - spiega Stefano Ardiccioni, titolare del ristorante - perché un ristoratore deve perdere tempo durante il suo lavoro per chiedere la certificazione verde per i posti all’interno? Noi facciamo altro di lavoro, se poi viene fuori qualche incongruenza la colpa rischia di rimanere nostra a prescindere e non del cliente che magari ci ha raccontato una balla. E poi vedi che in giro le norme sono diverse, come ad esempio nei ristoranti delle autostrade dove si mangia senza problemi all’interno dei locali, e questo è successo anche durante il lockdown, mentre noi eravamo chiusi e loro continuavano a essere aperti. Nei negozi - continua Ardiccioni - nei supermercati e sui mezzi pubblici il Green pass non serve. Allora mi sono detto: perché devo rischiare oltre a quello che impone il mio lavoro? Preferisco chiudere la sala interna, perdere una settantina di posti al coperto per tutta l’estate, rimetterci come guadagno ma almeno sono più tranquillo; e pazienza se si lavora meno ma anche lo stress è minore e la salute è la cosa che conta più di tutte».

Inoltre il doppio binario sul quale viaggiano i posti all’aperto e quelli al chiuso rischia di creare anche altre situazioni paradossali. «Attualmente i clienti che non hanno il Green pass e mangiano fuori possono però andare al bagno all’interno - conclude Ardiccioni - e non ci stanno certo un minuto. Quindi potenzialmente possono essere veicolo di contagio ma a loro non si può inibire l’accesso alla sala coperta, è una cosa che non ha alcun senso logico».

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