Il Tirreno

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la storia

Riunisce i parenti per rendere omaggio all’antenato morto in guerra 100 anni fa

Fiora Bonelli
Rodolfo Butelli, 80 anni, e a destra, il sergente Rodolfo Butelli, fratello di suo nonno, caduto in guerra nel 1918
Rodolfo Butelli, 80 anni, e a destra, il sergente Rodolfo Butelli, fratello di suo nonno, caduto in guerra nel 1918

A 80 anni Rodolfo Butelli ricostruisce la saga della sua numerosissima famiglia in nome dell'avo caduto al fronte e di cui si è persa traccia

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MANCIANO. Porta il nome di un parente morto giovanissimo durante la Prima guerra mondiale e dopo 100 anni vuole ricordare il soldato di cui porta il nome, Rodolfo, per rendere omaggio al suo «ardimento».

Rodolfo Butelli, ottantenne, per trenta anni rappresentante calzaturiero e oggi attivo nel settore immobiliare, ha organizzato una celebrazione a Manciano, luogo di origine della sua famiglia. Ha chiamato a raccolta parenti e amici al cimitero del paese dove riposa il suo omonimo, che morì poco più che ventenne, il 21 settembre 1918, nell’ospedale da campo n. 084 per ferite riportate in combattimento. L’appuntamento è per venerdì 21 settembre alle 10 alla cappella del cimitero di Manciano dove si svolgerà una funzione religiosa.

Rodolfo Butelli, il cui nome compare anche nel monumento ai caduti del borgo mancianese, era nato a Manciano il 6 febbraio 1896. Partì per il fronte a 18 anni e divenne sergente del 2° reggimento artiglieria pesante campale. Colpito il 20 settembre da una granata, spirò ad Avio il 21 settembre 1918. Due mesi dopo, la grande guerra sarebbe finita.

«Queste sono le poche cose che so di lui – racconta Rodolfo Butelli – eppure lo sento fratello e sodale. Sarà che sono diventato vecchio e che la notte veglio e penso. Sarà che mi ha cominciato a incuriosire la storia che mi raccontava mia madre Renata. Mi diceva che Evaristo, padre del sergente caduto in guerra e zio di mio padre Florio, nei primi miei due anni di vita, veniva ogni giorno a trovarmi. Si metteva a sedere accanto alla culla. Mi guardava dormire e mi accarezzava. Poi in silenzio tornava via».

La storia che racconta Rodolfo è di quelle che sembrano leggenda, tanto sono lontane dalla mentalità di oggi: «Ricordo la grande e numerosa famiglia Butelli a Manciano dove sono rimasto fino a quando compii otto anni – prosegue – Il capostipite dei Butelli, Romildo, carbonaio, era arrivato in Maremma per far carbone nella prima metà dell’800, dal Pistoiese e vi aveva messo radici, sposando Maddalena Sani, maremmana. Luigi, uno dei loro figli – racconta– era garibaldino. Ho una medaglietta col nastrino tricolore che credo gli appartenesse e aveva partecipato alla terza guerra di indipendenza. Luigi e la moglie Angela Ridolfi ebbero 10 figli fra cui Evaristo, padre del sergente Rodolfo. Grande famiglia, attività di calzoleria, ma di quella fatta al “desco”, il banchetto del calzolaio circondato da piccole sedie impagliate per i lavoranti. Si facevano le scarpe da lavoro e da festa col trincetto, la lesina e la pece, un lavoro con tanti addetti fra familiari e dipendenti, che era redditizio fin quando non arrivò la produzione in serie di scarpe. Un mondo patriarcale, dove la donna aveva un gran ruolo».

E Rodolfo racconta un fatto sentito fin da bambino: «Mentre Luigi, i figli e i lavoranti cucivano scarpe, Angela, soprannominata la Germania, grande temperamento, sanguigno e deciso, si ingegnava a tenere a bada il marito che ogni tanto andava all’osteria. Tanto che una volta la Germania si prese pure una forchettata in una mano quando andò fino alla taverna, a strappare dal piatto la bistecca che Luigi stava per addentare. Erano altri tempi. Tempi di lavoro duro e di grandi sacrifici. Perché fino agli Anni Quaranta si faceva tutto a mano. Poi arrivò l’industria».

Anche Evaristo cominciò col trincetto in mano, poi sposò Maria. Era un giovane che voleva emergere e uscire da quella bottega, lui che era amico del fattore del Principe Corsini che possedeva la tenuta della Marsiliana e le distese di terra che si perdevano a vista d’occhio fino al mare. E nelle cacciate del principe, il fattore Biozzi non mancava mai d’invitarlo. Ma poi gli nacque Rodolfo, unico figlio e nipote primogenito di Luigi per il quale si pregustava un futuro di eccellenza. Invece la guerra non perdonò. E Rodolfo a 22 anni morì lontano dal suo paese. Così come morì per malattia contratta in guerra, suo cugino Andrea Butelli.

Il dramma di questa famiglia la raccontano la lettera del comandante e la lettera dei genitori di Rodolfo al sindaco, e lo strazio dei genitori era ancora vivo, dopo quattro anni, quando riuscirono a traslare la salma del figlio al cimitero di Manciano.

Dal 1918 passarono venti anni. Nel 1939 al nipote di Evaristo, Florio, nasce un bambino. E lui con la moglie Renata accoglie il desiderio che Evaristo e Maria avevano, ma inutilmente, manifestato ad altri parenti: dare a un Butelli il nome Rodolfo. Il piccolo di Florio e Renata vede la luce il 21 ottobre, e Rodolfo diventa il suo nome.

«Adesso – confessa Rodolfo ottantenne – mi è venuto da ripensare a tutta questa storia. Ora che sono vecchio, frugo fra i ricordi a cercare il senso della vita. Così mi è venuta la voglia di sapere cosa mi lega al Rodolfo da cui ho avuto in eredità il nome, e se c’è nei nostri destini un filo ininterrotto. Il nome, certo, ma ci lega anche Evaristo che ha visitato la mia culla come quella del figlio, e poi ci lega quel calore che abbiamo vissuto nella bottega di calzolai della nostra famiglia. E immagino cosa fantasticasse Rodolfo al fronte: avrà pregustato il ritorno. Lo uccisero le ultime cannonate. Dopo due mesi la guerra sarebbe finita».

Dopo 100 anni, a Manciano, Rodolfo fa rivivere la Storia e tante storie, con la sensibilità che lo ha portato a scavare e scandagliare nelle lettere, fra i ricordi e nei cuori. «Saremo tanti il 21 settembre? – si chiede – Non lo so. So che la nostra famiglia, quella che ho ricostruito nel mio immaginario, sarà là. Saranno tutti con me, così come me li sono immaginati o li ho conosciuti, a inchinarsi davanti alla tomba di Rodolfo, che adesso riposa nella stessa cappella con i genitori Evaristo e Maria». –

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