Carnevale di Viareggio 2026, da Trump al negazionismo climatico: ecco i bozzetti di tutti i carri
L’incubo dell’atomica, il mercato delle armi: nei progetti dei carri della prima categoria ritorna in grande stile la satira politica
VIAREGGIO. Negli ultimi anni bisognava addentrarsi tra le mascherate di gruppo – se non addirittura fra le maschere isolate – per rinvenire quel poco che restava della satira politica al Carnevale di Viareggio. A febbraio, invece, saranno tre i carri di prima categoria su cui si muoveranno dei mascheroni con i connotati dei grandi della Terra: impensabile, fino a poco tempo fa. Tanto più che a sbeffeggiarli saranno sì costruttori che più volte si sono cimentati con la musa ispiratrice del nostro Carnevale, ma anche carristi insospettabili. E se non è satira politica, poco ci manca, in altri casi: sui viali a mare si rincorreranno uno dietro l’altro lo spettro della guerra, le insidie dietro la ricerca del successo facile, l’inno all’amore e quello al coraggio, l’importanza di assaporare ogni momento che viviamo e il negazionismo climatico – ma qui c’è pure il faccione del presidente americano Donald Trump, giusto per tornare al punto di cui sopra.
“Nel campo dei miracoli” di Jacopo Allegrucci. Consegnato agli annali il carro che aveva Frankenstein come soggetto, il vicecampione in carica si affida questa volta a due celebri personaggi di “Pinocchio”: il gatto e la volpe. Che sì, sono in società ma di loro non ci si può fidar, soprattutto se promettono fama, successo e felicità – ci sarà “Money, success, fame, glamour” di Felix da Housecat nella colonna sonora? – nell’immediato. Alle loro spalle gli immaginari alberi su cui crescono scintillanti monete d’oro, dietro le quali si nasconde una trappola sociale: non si diventa qualcuno per caso. I veri miracoli, allora, sono quelli di chi lotta, chi studia, cade e si rialza e, più in generale, sceglie la via più lunga perché sa che vale davvero.
“La gallina dalle uova d’oro” di Alessandro Avanzini. Per un momento le dita stavano per digitare “Silvano” anziché “Alessandro”: Avanzini omaggia in qualche modo il padre, il carrista che nel 1960 elevò la satira politica a marchio di fabbrica del nostro Carnevale e nel 1974 realizzò “Una bella covata”. Al centro della scena una gallina robotica sul cui capo svolazzano i capelli grigi della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. L’allegoria qui è chiarissima: bersaglio della satira di Avanzini è il piano Re-Arm Europe, con la finanza – e le lobby delle armi – che impartisce ordini alla politica. Dalle uova della gallina si schiudono strumenti di morte come bombe e proiettili, mentre la pace, rinchiusa in una gabbia, assiste impotente.
“In bocca al lupo” di Luca Bertozzi. Reduce dall’ultimo posto dello scorso anno, Bertozzi prova a esorcizzare il demone di una clamorosa discesa in seconda categoria. E lo fa affidandosi a una costruzione che sembra quasi autobiografica: ispirato alla favola di “Cappuccetto rosso”, il carro è infatti un inno al coraggio e alla tenacia. Lungo il sentiero della vita potremmo incontrare pericoli, ben esemplificati dalla figura del lupo: non per questo la favola dovrà concludersi allo stesso modo. Guardando il bozzetto, con Cappuccetto Rosso su un viale alberato in fondo al quale si cela il lupo, viene da pensare che sul carro l’animale sbucherà dalle frasche. Una scena che ricorda il faccia a faccia tra Atreyu e Gmork in “La storia infinita”.
“I samurai del potere” di Luigi Bonetti. Nella classifica combinata, al momento, è quello che rischia più di tutti la retrocessione. E allora Bonetti prova a giocarsi la carta della satira politica, lui che è nipote di un certo Giovanni “Menghino” Lazzarini. Trump, Putin e Xi Jinping sono i tre samurai del potere che danno il titolo al carro: il primo è un imprevedibile padrone del Caos, il secondo un silenzioso calcolatore mosso dal mito della Grande Russia imperiale, il terzo simboleggia il potere centralizzato dello Stato e guida il suo esercito verso la supremazia economica della Cina. Una degna rappresentazione dell’assetto multipolare del mondo in cui viviamo.
“The Last Hop(e). Il cambiamento climatico è una bufala” di Massimo e Alessandro Breschi. Il titolo è un gioco di parole che piacerà a quanti masticano l’inglese: “hop” vuol dire salto, “hope” speranza. E allora ecco balzare tra le ninfee di uno stagno – omaggio a un celebre dipinto di Claude Monet – tre rane che ci ricordano la fragilità della Terra: il loro habitat viene deturpato dall’inquinamento, causato dalle conseguenze globali della crisi ambientale. Eppure c’è chi quel cambiamento climatico arriva perfino a negarlo. Come il presidente degli Usa Donald Trump, presente sul carro anche se con un ruolo marginale. Piccola nota nostalgica: a leggere “hop” e a vedere le rane viene in mente il mitico “Hop Frog”, circolo culturale attivo tra gli anni Settanta e Ottanta a Viareggio.
“Nemmeno con un fiore” di Umberto, Stefano, Michele e Jacopo Cinquini. A una prima, rapida e superficiale occhiata, il carro dei fratelli Cinquini grandi e piccini si presenta come un semplice inno all’amore: una figura maschile e una femminile si scambiano dolci effusioni in un campo di fiori (e già immaginiamo i petali che si schiudono). Tuttavia, la chiave di lettura è più profonda: è evidente il richiamo all’educazione all’affettività, un tema ricorrente ogni volta che si registra un femminicidio in Italia. Amare non vuol dire possedere, amare è anche rispettare, amare è lasciare piena libertà alla donna.
“Gran Casino. Rien ne va plus” di Lebigre e Roger. Si scrive “casino”, si legge “casinò” (alla francese, bien sûr) ma va detto che le due versioni sono perfettamente intercambiabili: i grandi della Terra giocano alla guerra come se si trovassero davanti a un tavolo verde – ah, quanto fu visionario il regista Stanley Kubrick quando girò “Il Dottor Stranamore”… – e il risultato è un caos inenarrabile. Trump, Netanyahu e altri leader si sfidano alla roulette, dove il croupier è il diavolo in persona, adagiato su un trono fatto di macerie: l’umanità, osservano i costruttori italofrancesi, è solo una fiche.
“
999” di Carlo e Lorenzo Lombardi. I campioni in carica raccontano la storia di Sadako Sasaki, una bambina giapponese sopravvissuta alla bomba atomica sganciata su Hiroshima. Ammalatasi di leucemia a seguito delle radiazioni, Sadako si pose l'obiettivo di confezionare mille gru di carta: secondo una leggenda, se ci fosse riuscita avrebbe potuto esaudire un desiderio, ma si fermò a 999. Quella che era Hiroshima ottant’anni fa oggi può essere Gaza, Mariupol o il Sudan. Sul carro, alle spalle di una bambina giapponese e alcuni origami, incombe Godzilla, simbolo di distruzione.“Io vivo in questo momento” di Roberto Vannucci. Un inno al “qui e ora”, all’hic et nunc che abbiamo ereditato dai nostri avi latini: la società in cui viviamo ci induce a credere di godere appieno del presente. Purtroppo è solo un’illusione: riconsideriamo il passato e indirizziamo le nostre energie al futuro. Il carro si presenta con la facciata di un’antica casa che appare abbandonata: al suo interno cela alcune figure, ma non si sveliamo troppo, giacché lasceremo più avanti al costruttore il compito di raccontarcele.