Camaiore, paziente morì al pronto soccorso: medico rischia di pagare un milione
La Corte dei conti richiede la somma con cui l’Asl ha risarcito i familiari della vittima
VIAREGGIO. Quel maxi risarcimento da oltre un milione di euro pagato dall’Asl agli eredi di una 67enne morta al pronto soccorso del Versilia con il foglio di dimissioni in mano, la Corte dei conti lo ha chiesto a tre medici che nel maggio 2011 si occuparono della pensionata.
Dei tre citati dalla Procura contabile, però, solo per uno i giudici hanno disposto un supplemento di indagine con la necessità di una consulenza medico legale per accertare il nesso di causalità tra presunta negligenza e decesso della paziente. Per un medico di 72 anni di Pietrasanta l’atto di citazione in giudizio è stato dichiarato inammissibile perché la Procura non ha dato seguito alla sua richiesta di essere sentito in via preventiva sui fatti in contestazione. Per l’altro medico, un 51enne della provincia di Palermo, altra inammissibilità della citazione a causa della «mancata regolare notifica dell’invito a dedurre».
Nel processo contabile resta, quindi, solo il 69enne medico di Viareggio, in pensione dal 2020, che ha confutato le contestazioni di responsabilità sul decesso della signora e ha chiesto e ottenuto che venisse disposta una consulenza medica. In ballo c’è un risarcimento da un milione e 15mila euro che l’Azienda sanitaria locale chiede al dottore dopo aver pagato nel 2019 ai figli della donna di Camaiore, una somma imposta dal Tribunale civile di Lucca.
Secondo l’accusa i tre sanitari non si accorsero di un’embolia polmonare che portò alla morte la pensionata. La 67enne si era presentata al pronto soccorso del Versilia il 16 maggio 2011. Lamentava difficoltà respiratorie che duravano da alcuni giorni. Sottoposta a vari esami, era stata dimessa alle 22,37 dello stesso giorno con diagnosi di “verosimile riacutizzazione di Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e prescrizione di terapia”. La donna, uscita in sala di aspetto, era caduta perdendo conoscenza. Soccorsa e ricoverata in codice rosso, il cuore della pensionata si fermò alle 00,15 del 17 maggio. I figli avviarono all’epoca una causa contro l’Asl conclusa con la condanna a un risarcimento milionario.
La consulenza in sede civile aveva imputato ai tre sanitari dell’Azienda, una colpa «consistita sostanzialmente nell’errata diagnosi di Bpco ed omessa diagnosi della patologia di trombo embolia polmonare massiva e nella conseguente omessa prescrizione di ulteriori esami strumentali e mancata somministrazione delle necessarie cure farmacologiche».
Al medico rimasto sotto processo contabile che ebbe in cura la paziente dal ricovero al cambio turno delle 200 del 16 maggio 2011, «sono stati ascritti errori diagnostici e disinteresse verso l’individuazione della miglior terapia per la paziente sottoposta alle sue cure».
A tutti i sanitari coinvolti è stata, poi, contestata l’omessa considerazione di tracciato elettrocardiogramma del 16 maggio 2011, che non risulta refertato. Rimasto l’unico a dover rispondere di un caso di colpa medica con morte della paziente, il 69enne si affida ora alla consulenza medico legale per evitare una condanna a risarcire il suo ex datore di lavoro.l