Il Tirreno

Toscana

L’intervista

Pensioni, il docente universitario: «Nessuna soluzione è gratuita, o si lavora più a lungo o si accettano assegni più bassi» – Lo scenario

di Manolo Morandini
Pensioni, il docente universitario: «Nessuna soluzione è gratuita, o si lavora più a lungo o si accettano assegni più bassi» – Lo scenario

L’analisi di Luca Spataro, professore di Scienza delle finanze dell’Università di Pisa: misure, fondi e “nodo demografico”

4 MINUTI DI LETTURA





Al di là delle aspettative individuali affrontare il tema delle pensioni impone di aver chiaro quali sono i vincoli del sistema: sostenibilità finanziaria, adeguatezza delle prestazioni e requisiti di accesso. A tracciare i confini è Luca Spataro, professore ordinario di Scienza delle finanze presso l’Università di Pisa.

Nel nostro sistema i contributi di oggi finanziano le pensioni di oggi. Quanto pesa il nodo demografico?

«È il vincolo principale. L’Italia è tra i Paesi più anziani al mondo e la popolazione in età lavorativa continuerà a ridursi. Oggi abbiamo 1, 4 lavoratori per pensionato, contro 2,5 negli anni ’90, e saremo vicini a 1 a 1 nel 2050. Il sistema regge solo se i requisiti crescono gradualmente e se il metodo contributivo funziona a pieno regime».

La spesa Inps aumenta, anche per il peso crescente dell’assistenza. È un problema?

«Se guardiamo al conto previdenziale puro – contributi contro pensioni – il sistema è vicino al pareggio: il disavanzo è di 10-20 miliardi l’anno. I numeri più alti dipendono dall’assistenza, che vale circa 150 miliardi ed è giustamente finanziata dalla fiscalità generale. Il punto non è la previdenza, ma distinguere nettamente le due aree e selezionare attentamente gli interventi assistenziali. Tuttavia la spesa previdenziale è attesa in crescita per il pensionamento dei baby-boomers, la generazione molto numerosa nata negli anni Sessanta: da qui l’esigenza di gestirne con gradualità l’uscita dal lavoro».

Dopo anni di innalzamento dell’età pensionabile, qual è il margine per ulteriori interventi senza aggravare la spesa pubblica?

«Al di là delle esigenze di cassa temporanee, l’adeguamento dei requisiti alla speranza di vita è un modo per distribuire equamente i costi dell’invecchiamento. Se l’età media aumenta, o si lavora più a lungo, o si accettano assegni più bassi, oppure cresce il peso sul bilancio pubblico. Non esistono soluzioni gratuite. A regime, il metodo contributivo calibra automaticamente l’assegno ai contributi versati, ma pone un tema di adeguatezza, specie per chi ha carriere discontinue. In ogni caso gli aggiustamenti dovrebbero essere automatici, non oggetto di contrattazione politica».

Misure come Quota 103 o Opzione Donna sono efficaci?

«Continuare con quote e deroghe significa riproporre logiche che appartengono al passato. Nel 1995 si perse l’occasione di introdurre subito per tutti il contributivo: da allora si è creato uno squilibrio che oggi pagano i giovani, con salari più bassi, carriere discontinue e un cuneo elevato. È nato un welfare familiare “al contrario”: i giovani finanziano trattamenti più generosi di quelli che riceveranno e, in cambio, ricevono sostegno economico e abitativo dalla famiglia di origine. È un paradosso che indebolisce equità e demografia. Serve semmai un’accelerazione del contributivo per tutti, abbandonando definitivamente il pro-rata retributivo».

Una proposta ricorrente è abolire vecchiaia e anticipata e introdurre un’unica pensione legata al montante. È realistico?

«È l’applicazione piena del contributivo: un’unica prestazione legata ai contributi, senza regali né penalizzazioni in termini attuariali. Peraltro, in un contributivo puro la flessibilità del pensionamento sarebbe sostenibile; ma con l’attuale sistema misto e il pensionamento dei baby-boomers, resta un lusso che ancora non possiamo permetterci».

Quanto sarà necessario integrare il sistema pubblico con i fondi pensione?

«Moltissimo. In un sistema contributivo, la previdenza complementare è essenziale. Ma l’Italia è indietro: meno di 10 milioni di iscritti, di cui non tutti attivi, e un patrimonio pari al 12 per cento del Pil, che ci colloca al 27º posto nell’Ocse. Numeri troppo bassi per un Paese che invecchia rapidamente. Serve migliorare l’educazione finanziaria e l’informazione tra i lavoratori, aumentare la concorrenza nel settore e coinvolgere i giovani, veri beneficiari della capitalizzazione».

In conclusione, qual è la priorità?

«Rafforzare la crescita economica e contrastare il declino demografico con riforme strutturali: più crescita significa più occupazione, salari migliori e una base contributiva più solida. In parallelo va consolidato il secondo pilastro, anche superando la distinzione tra imprese sopra e sotto i 50 dipendenti e rivedendo la destinazione del Tfr al Fondo di Tesoreria, che è di fatto un prestito forzoso dei lavoratori all’Inps. Un secondo pilastro più maturo ed efficiente, ispirato ai modelli internazionali di adesione automatica con opt-out, permetterebbe anche di ridurre il cuneo fiscale e aumentare il netto in busta paga. La sostenibilità passa da crescita, buona occupazione e una previdenza multipilastro con sistema contributivo puro».

Primo piano
Il relitto

La nave Guang Rong è arrivata al porto di Livorno: così finisce un’emergenza durata quasi un anno

di Redazione web