Pensioni, nuovi importi da gennaio 2026 in base al reddito - Come funziona: le simulazioni
L’eventuale adeguamento definitivo arriverà solo alla fine del 2026 con un conguaglio
Scattano gli aumenti da gennaio, per tutti i pensionati. L’adeguamento automatico è dell’1,4 per cento ha un effetto minimo sul cedolino. La misura viene calcolata in via provvisoria dal Governo – il ministero dell’Economia l’ha stabilita con il decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 28 novembre – per poi stabilire l’assestamento definitivo alla fine dell’anno, prevedendo un eventuale conguaglio con l’assegno di dicembre. Si tratta della rivalutazione in linea con le stime dell’indice dei prezzi al consumo per il 2026 e come tale non è un aumento dei trattamenti.
Il meccanismo prevede che l’adeguamento si applichi in base alla fascia di reddito, secondo un meccanismo a scaglioni. Nel dettaglio, sarà pieno, ovvero del 100 per cento, per gli assegni fino a quattro volte il trattamento minimo Inps, che è pari a 603,40 euro. E così, se la rivalutazione è piena fino a 2.413,60 euro, si scende a quota 90 per cento per le pensioni di importo compreso tra quattro e cinque volte il minimo e al 75 per cento per i trattamenti oltre questo scaglione.
Sale la minima
La pensione minima presa a riferimento per il 2026 ammonta a 611,85 euro. Ma a questa si aggiunge anche la maggiorazione dell’1,3 per cento, stabilita dal Governo con la manovra di bilancio del 2024, per effetto della quale l’assegno da gennaio sarà di 619,69 euro. E quindi, a conti fatti, la pensione sarà più alta di tre euro al mese rispetto a quella di quest’anno.
Un assegno lordo di 800 euro diventa di 811, 20 euro circa, ma il netto cresce di pochi euro (da 841 a circa 850); una pensione lorda di mille euro diventa 1.014 euro netti, con un recupero effettivo di 11 euro mensili, mentre una lorda di 1.500 euro cresce di circa 21 euro, ma l’aumento netto si riduce a 17 euro mensili. Da 2mila euro si sale a 2.028, da 2.500 a 2.534,88 euro e un assegno di pensione di 3mila euro diventa di 3.041,18 euro, da 3.500 si sale a 3.546,46 euro mentre per un trattamento di 4mila euro l’incremento è di 51,71 euro. Agli importi devono essere applicati gli scaglioni Irpef e le detrazioni da pensione per ottenere il netto del cedolino.
Il sistema di rivalutazione nel caso di una pensione che cade nel secondo scaglione, quello per importi dell’assegno tra quattro e cinque volte il minimo, prevede che fino al valore di 2.413,60 euro si calcola l’adeguamento pieno dell’1,4 per cento e per la parte eccedente nella misura dell’1,25 per cento (ovvero il 75 per cento della rivalutazione piena). Una pensione lorda di 2.600 euro avrà un adeguamento che è la somma di due incrementi. Il primo è pari a 33,79 euro: 2.413,60 per 1,40 per cento. Il secondo di 2,35 euro: (2.600-2.413,60) per 1,26 per cento.
Il paradosso
C’è un effetto paradosso. Si scarica sui pensionati che, pur avendo lavorato e contribuito di più, finiscono per trovarsi con un assegno di importo inferiore rispetto a chi percepisce una prestazione assistenziale. A causarlo è la cosiddetta no tax area, che è fissata a quota 8.500 euro annui, per la mancata armonizzazione tra politiche di perequazione, fiscalità e maggiorazioni sociali, finendo per determinare la distorsione che colpisce comunque una platea in situazioni economiche di fragilità.
Prendiamo una pensione maturata di 384,62 euro mensili, che viene integrata al trattamento minimo e ulteriormente incrementata dalle maggiorazioni sociali, fino a raggiungere 749,11 euro netti mensili, senza alcuna trattenuta fiscale. Il confronto con una pensione maturata più elevata: 692,31 euro mensili. In questo caso pur beneficiando di una modesta maggiorazione sociale, supera la soglia della no tax area e diventa imponibile. L’effetto è che per le trattenute Irpef e le addizionali, pari a oltre 25 euro mensili, si riduce l’importo netto a 710,47 euro, cioè 38 euro in meno rispetto alla precedente pensione assistita, pur essendo costruita su una storia contributiva più consistente.
E si può proseguire prendendo, per esempio, una pensione maturata di 807,69 euro che quindi non ha diritto a maggiorazioni: le trattenute fiscali erodono l’importo netto fino a 745,97 euro. Risultato: il pensionato si ritrova con un assegno inferiore di tre euro rispetto a chi beneficia della prestazione assistenziale. Ma non è finita. In pratica, con oltre 10.500 euro annui di imponibile fiscale ha una maggiore pressione contributiva pregressa.
