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Agricoltura

La protesta degli agricoltori toscani, i motivi e i numeri della crisi: costi, rincari e cosa c’è dietro a quel «record negativo»

di Francesco Paletti
Alcuni momenti della protesta
Alcuni momenti della protesta

Un mare di bandiere gialle e verdi, come i colori della storica associazione di categoria, e tanti sacchi di grano vuoti con il tricolore «per denunciare un sistema che distrugge il reddito agricolo»

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FIRENZE. Ventotto euro al quintale, il 30% in meno rispetto a un anno fa. Sempre più giù. Crolla ancora il prezzo del grano duro, il cereale base per la produzione della pasta. Mentre i costi di produzione continuano a lievitare: +20% rispetto al 2021. Il risultato è che oggi un chilo di spaghetti o di penne sugli scaffali di un qualunque supermercato viaggia attorno ai due euro, ma in tasca ai produttori restano appena 28 centesimi.

Sono alcuni dei numeri che si potevano leggere ieri mattina, 26 settembre a Firenze sulle centinaia di cartelli esposti dagli oltre mille agricoltori arrivati da tutta la regione, e anche dal Lazio, convocati dalla Coldiretti Toscana per un sit-in di protesta in via Cavour, sotto Palazzo Medici Riccardi, la sede della prefettura fiorentina. Un mare di bandiere gialle e verdi, come i colori della storica associazione di categoria, e tanti sacchi di grano vuoti con il tricolore, «per denunciare un sistema che distrugge il reddito agricolo», ha tuonato, megafono in mano, la presidente di Coldiretti Toscana Letizia Cesani. Perché la manifestazione è stata sì colorata e pacifica, ma anche venata di preoccupazione e disperazione: «Siamo stanchi di essere umiliati: giù i prezzi, su la produzione» e «difendiamo il grano italiano», si poteva leggere su alcuni dei cartelli esposti ieri mattina al sit-in che danno l'idea del clima e dello stato d'animo diffuso fra i cerealicoltori toscani.

Per capirne le ragioni basti un dato: oggi in Toscana ci sono circa 40mila aziende cerealicole. Tante, al punto che, la regione, dopo Puglia e Sicilia, è riconosciuta come uno dei granai d'Italia. Nel 2015, però, erano 97mila. Vuol dire che in dieci anni ne sono scomparse quasi il 60%. Un'emorragia neppure troppo lenta e che non pare destinata ad arrestarsi a breve: «Nella regione sono a rischio migliaia di aziende cerealicole», ha denunciato nuovamente ieri Coldiretti. Il calo dei prezzi e della produzione segnalato dai produttori toscani, infatti, non è assolutamente congiunturale, ma segue quello dell’annata agraria 2024. Pesantissimo. Rispetto all'anno precedente la produzione di grano duro è crollata dal punto di vista quantitativo: -29,2% in appena dodici mesi. E il valore economico è andato addirittura in picchiata: -37,6% certifica Irpet.

Beninteso, la crisi ha colpito duro anche nelle altre grandi regioni produttrici dello Stivale, ma non ha fatto male quanto in Toscana. Basta scorrere i numeri per rendersene conto: in Sicilia la produzione è calata dell'8,1% e il valore del 19%. In Emilia Romagna, rispettivamente, dell'8,8% e del 15,4%, mentre in Puglia la diminuzione di grano duro prodotto è stata contenuta (-2,2%) ma con un impatto economico molto rilevante (il valore della produzione è calato del -15,6%), ma comunque pari a meno della metà di quello della Toscana.

Quasi da record negativo anche il crollo di produzione e valore economico del grano tenero. In Toscana la quantità è calata dal 16,5% per una diminuzione di valore del 25,9%. Vero che in Veneto è andata anche peggio (rispettivamente -30,7% e -38,5%) e in Piemonte e Lombardia, più o meno nello stesso modo: nella prima, infatti, la quantità prodotta è diminuita del 18,2% mentre il valore economico è sceso del 27,3% e nella seconda le variazioni sono state, rispettivamente, del 25,7% e del 19,8%. Ma ci sono regioni importanti dal punto di vista della produzione cerealicola in cui la crisi ha fatto meno male. Ad esempio l'Emilia Romagna: qui la variazione della produzione è stata del - 5,7% per una diminuzione di valore del 14,2%. E altre che hanno chiuso il 2024 addirittura con variazioni positive. È il caso dell'Umbria, in cui il grano tenero prodotto è cresciuto del 16,4% per un incremento di valore del 3,3%.

Nel lungo periodo, le conseguenze si possono leggere nella nota congiunturale Irpet sui risultati dell'annata agraria 2024: «In termini di superficie coltivata, la Toscana ha perso più di ogni altra regione: in un decennio gli ettari a grano duro si sono ridotti di oltre 40mila, con una perdita media annuale del 6,6%».

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