“Cubo nero” di Firenze, indagine per abusi: blitz per i carteggi in Comune e a Palazzo Pitti
Portate via migliaia di pagine da Urbanistica e Soprintendenza
FIRENZE. Oscuro come il suo rivestimento, rumoroso come le polemiche che lo accompagnano da settimane. Il “cubo nero” sorto al posto dell’ex Teatro Comunale è adesso anche un fascicolo in Procura. Da quasi un mese i pm di Firenze hanno aperto un’inchiesta per reati edilizi legati alla violazione delle norme sui beni culturali e sul paesaggio. Il fascicolo è a carico di ignoti, ma già ha prodotto le prime mosse investigative: carabinieri e guardia di finanza hanno bussato agli uffici della Direzione urbanistica di Palazzo Vecchio e alla sede della Soprintendenza, uscendo con faldoni e chiavette piene di copie digitali.
Valutazioni di impatto, autorizzazioni della commissione paesaggio, relazioni tecniche, prove di colore. Tutto ciò che ha contribuito a trasformare un’area del centro Unesco in un complesso residenziale privato, affidato ai fondi Blue Noble e Hines con la firma dello studio Vittorio Grassi Architects. Non sono stati invece acquisiti i documenti relativi alla compravendita, la famosa alienazione del 2013 voluta dalla giunta Renzi e completata con la vendita a Cassa Depositi e Prestiti per 23 milioni. L’inchiesta si concentra non sul denaro, ma sulle autorizzazioni e sui controlli.
Un passaggio tecnico che oggi appare enorme è la discrepanza fra i rendering e il risultato. Nei disegni di Marco Casamonti, a cui Cdp aveva affidato il progetto, tinte chiare, color crema, coerenti con lo skyline del lungarno. Nella realtà, quella del passaggio a Blue Noble e Hines e preparata da altri architetti, un parallelepipedo scuro, ottone brunito, che i comitati definiscono «macchia», «ferita». A Palazzo Vecchio, in tanti si difendono spiegando che il Comune “ha fatto tutto quanto di sua competenza”. Ma i pm vogliono capire chi, e quando, abbia verificato l’effettiva corrispondenza fra il progetto autorizzato e la costruzione finale.
La linea temporale aiuta a capire il corto circuito. Nel 2015 la soprintendente Alessandra Marino aveva chiesto di preservare la facciata e contenere l’impatto. Nel 2016 Andrea Pessina, subentrato alla guida della Soprintendenza, diede il via libera a edifici da sette-otto piani, quasi 15 mila metri quadri residenziali. Nel 2020, nell’era di Dario Nardella sindaco, la commissione paesaggio firmò l’autorizzazione definitiva, condizionata però alla verifica in corso d’opera di infissi, materiali, colori. Un dettaglio che appare oggi gigantesco, perché la verifica non avrebbe fermato il viraggio cromatico che ha trasformato il progetto.
In consiglio comunale il tema è diventato un processo politico. Fratelli d’Italia chiede un’indagine permanente sul procedimento, Italia Viva ammette che “il punto è capire come sia passato senza contestazioni quando contava davvero”, la sinistra radicale ricorda che non fu solo il Pd a tacere. Nel Pd si trincerano dietro i pareri tecnici. La sindaca Sara Funaro, che ha detto di non gradire quel colore, ha chiesto un tavolo con proprietà e Soprintendenza per verificare margini di intervento su materiali e cromie. Un tentativo di varco, mentre la procura scava.
Fuori da Palazzo Vecchio i comitati parlano di “resa culturale”, l’Ordine degli Architetti di Firenze di “esito sconfortante e deprimente”, mentre Eike Schmidt, ex direttore degli Uffizi e oggi leader dell’opposizione, evoca il rischio di un’istruttoria internazionale: “All’epoca del progetto l’Unesco non fu informato”. È il segno di come il cubo nero abbia superato i confini dell’architettura, diventando caso politico e test sulla governance cittadina.
Palazzo Vecchio intanto prova a stemperare: “Piena disponibilità a collaborare con chi conduce le indagini”, è la nota ufficiale di ieri pomeriggio. Un modo per dire che il Comune non si sente sotto accusa, ma sa che il vento è cambiato. Perché adesso non sono solo i comitati a sollevare dubbi, ma la magistratura.
Negli ultimi giorni è arrivata anche una richiesta formale dal ministero della Cultura: il 18 settembre il Mic ha domandato al Comune di Firenze l’HIA, l’Heritage Impact Assessment, cioè la valutazione d’impatto sul patrimonio che deve precedere ogni intervento dentro i siti Unesco. Serve a misurare l’effetto di un progetto su valori, autenticità e integrità di un luogo patrimonio mondiale. È un documento previsto dall’Icomos, braccio tecnico dell’Unesco, che in questo caso non risulta sia mai stato prodotto. Palazzo Vecchio ha risposto inviando a Roma una serie di valutazioni e autorizzazioni già esistenti, spiegando che “equivalgono” all’Hia, ma senza chiamarle con quel nome. Non solo: il Comune precisa che l’Hia è richiesto dalle linee guida, ma non obbligatorio per legge. Una puntualizzazione che non basta a dissipare i dubbi, né a fermare le domande: chi ha controllato davvero, e quando, che quel parallelepipedo scuro fosse compatibile con il cuore di Firenze?