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Messaggi con l’amante su WhatsApp, posso portarli come prova del tradimento? Risponde l’avvocato

Messaggi con l’amante su WhatsApp, posso portarli come prova del tradimento? Risponde l’avvocato

Spetta solo al giudice valutare, sulla base delle circostanze riferibili al caso concreto quando una prova può essere lecitamente ammessa: i vari casi

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Ho trovato dei messaggi WhatsApp sul telefono di mio marito che con toni molto espliciti chatta con l’amante. Posso utilizzarli in giudizio come prova del tradimento per il divorzio? Grazie. Risponde l'avvocata Giulia Orsatti.

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Ai sensi dell’articolo 2712 del codice civile, “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. Queste ultime possono essere ammesse in giudizio come “prove atipiche” ossia mezzi di prova non espressamente previsti dall’ordinamento ma che il giudice può decidere di ammettere se li ritiene idonei a dimostrare i fatti. Nonostante questo, c’è da stare attenti, poiché se le riproduzioni di cui si parla – nel caso di specie i messaggi WhatsApp – sono ottenute senza il consenso dell’altro coniuge potrebbero nascere dei profili legati alla privacy da non sottovalutare.

Infatti, l’articolo 15 della Costituzione sancisce il principio della “segretezza della corrispondenza” e, l’articolo 615-ter del codice penale rubricato “accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico”, punisce, con la reclusione fino a tre anni, chiunque si introduca abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza, o vi si trattenga contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo. Inoltre, la giurisprudenza è pressoché unanime nel ritenere che il reato si configuri anche allorquando il proprietario del profilo di messaggistica in questione lo abbia lasciato aperto. Anche qualora le prove siano state procurate specificamente al fine di dimostrare qualcosa in giudizio, gran parte della giurisprudenza ritiene che non possano essere validamente utilizzate.

Tuttavia si potrebbe pensare che se si conosce la password, ovvero si ha conoscenza della stessa a seguito del consenso prestato dal legittimo proprietario, non si commetta illecito; eppure, la Corte di Cassazione ha ribadito che anche in presenza di suddetta circostanza, leggere i messaggi altrui costituisce reato, specie qualora gli accessi siano effettuati contro la volontà del diretto interessato. Ma diverse pronunce di Tribunali nazionali sostengono il contrario a seconda della presenza o meno di determinate condizioni. Ad esempio, si ritiene che i messaggi possano costituire prova in giudizio qualora il telefono cellulare o il computer siano stati lasciati accesi e alla mercé dell’altro coniuge; o ancora – secondo il tribunale di Roma – in un contesto di coabitazione entrare in contatto con dati personali del coniuge non necessariamente costituisce un’illecita acquisizione di dati.

Dunque, come si può ben capire soprattutto dalla giurisprudenza citata, ogni caso è a sé, e spetta solo al giudice valutare, sulla base delle circostanze riferibili al caso concreto quando una prova può essere lecitamente ammessa a formare il suo libero convincimento e quando invece una prova di questo genere sia da considerare inammissibile.


 

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