Il Tirreno

Toscana

L’analisi

Il “pasticciaccio brutto” delle nomine Adsp

di Maurizio Campogiani

	(foto di repertorio)
(foto di repertorio)

Oltre al caso dello stallo attuale, ripercorriamo le tappe della legge che rivoluzionò il settore portuale italiano e che adesso viene messa in discussione

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Oltre ventuno anni di una vita per certi versi gloriosa, nei quali ha avuto modo di accompagnare il Paese verso un nuovo orizzonte di sviluppo per ciò che concerne la mobilità, governando al meglio il boom di alcuni importanti traffici commerciali, come quelli legati alla movimentazione dei contenitori, al ro-ro e al crocierismo. Ma per la Legge numero 84, promulgata il 28 gennaio 1994, è arrivato il momento più difficile. E paradossalmente non in funzione di alcuni suoi possibili limiti, intervenuti nel frattempo a fronte delle vertiginose innovazioni che avvengono nel settore a cadenza quasi annuale, ma per l’intervento improprio e ingombrante della politica.

Quella politica che, peraltro, nell’era immediatamente post Tangentopoli, ebbe la lungimiranza, in un momento di ricostruzione complessiva del sistema Italia, di mettere le mani anche su un settore, quello portuale, che sembrava finito nel dimenticatoio.

Un po’ di storia

Istituì le Autorità Portuali e, con coraggio, visto che a elaborarla furono esponenti della sinistra, fece cessare il cosiddetto monopolio delle Compagnie, le aziende costituite tra i facchini, che avevano una loro assoluta autonomia societaria non configurandosi in alcuna delle fattispecie previste dal Codice Civile, e suddividendo le società alle quali affidare le concessioni sulla base della tipologia di servizio effettuata all’interno dei diversi scali marittimi.

Per quanto riguarda la scelta dei presidenti, nel primo decennio di vita della Legge sembrava fosse stato scritto un accordo bipartisan tra centrodestra e centrosinistra, una sorta di patto di ferro che, pur non essendoci nulla di scritto, assegnava ad uno schieramento la parte occidentale del Paese e all’altro quella orientale. I Ministri, di concerto con i Presidenti delle Regioni e, fino al 2016, con il placet dei sindaci dei comuni che facevano parte dell’Authority, nominavano i presidenti, i quali, dal loro canto, procedevano poi, come previsto dalla 84/94, a nominare segretari generali di loro fiducia.

Il tutto avveniva con una certa celerità, considerando i soggetti che dovevano esprimere il loro parere, e nell’arco di poche settimane il presidente in carica veniva riconfermato o sostituito dal successore nominato nel frattempo. Non si ricordano casi di ricorsi ai tribunali amministrativi regionali. L’unico che viene in mente è datato 2018 ed è comunque successivo alla prima modifica della Legge 84/94, firmata dall’ex ministro Graziano Delrio, che tra l’altro escluse i sindaci delle città portuali dalla consultazione sulla terna dei presidenti nominati e lanciò l’era dell’invio delle candidature da parte dei soggetti interessati a guidare le nuove Adsp. E quel ricorso al Tar del 2018, oltretutto respinto non ebbe peraltro ragioni di carattere politico, bensì fu presentato dall’allora commissario straordinario e presidente uscente di un ente, che ebbe a che ridire sulla nomina del suo successore.

Prima di allora, la Legge aveva assicurato governance anche di un certo livello e proposto personaggi che hanno saputo guadagnarsi stima e apprezzamenti pressoché unanimi. Il primo nome che viene in mente è quello di Francesco Nerli, ex senatore e “padre” della 84/94, che venne nominato capo di un’Authority, prima a Civitavecchia e successivamente a Napoli, e divenne poi il primo presidente di Assoporti, l’associazione nazionale che raccoglie le autorità portuali italiane. Ma se ne potrebbero citare tanti altri, alcuni tuttora sulla breccia o che sono stati “promossi” ad incarichi di maggiore prestigio personale e remunerativo.

Certo, ve ne sono stati di meno “ricordabili”, alcuni cacciati dal Ministro o dal Presidente della Regione di turno e altri i cui errori sono costati e stanno costando centinaia di migliaia se non milioni di euro agli enti, frutto di scelte sbagliate sia a livello programmatorio e sia a livello di personale. Ma il livello medio dei presidenti nel primo ventennio post nascita della Legge 84/94 è stato obiettivamente alto.

E arriviamo a oggi. Praticamente dall’inizio dell’anno il Governo non riesce a dare un nome e un cognome ai nuovi presidenti delle autorità portuali. Ingessato da una serie di veti incrociati, soprattutto al suo interno, che all’inizio della giostra hanno portato al “sacrificio” di alcuni nomi messi sul tappeto e subito dopo letteralmente bruciati.

Così, mentre nei porti ci sono centinaia di cantieri aperti, frutto dei fondi ottenuti dall’Unione Europea con il PNRR e mentre il settore continua a viaggiare a velocità siderali per quanto riguarda le novità che caratterizzano la stessa struttura delle navi e dei mercantili per proseguire con la rivoluzione del digitale e dell’intelligenza artificiale, la politica litiga, talvolta in modo anche poco elegante, sui nomi da mettere al vertice di questo o quel porto.

Tra papabili presidenti che hanno candidamente confessato nell’audizione presso la commissione parlamentare competente di essere in grado di dirigere un porto perché in possesso della patente nautica, ad altri sui quali partiti della stessa maggioranza di governo hanno presentato ricorso al Tar giudicandone il curriculum assolutamente incompatibile con le professionalità richieste, sta andando in scena una situazione degna della commedia dell’assurdo.

Da tempo è iniziato il “balletto” anche per quanto riguarda la seconda carica all’interno delle autorità di sistema portuale, quella del segretario generale che, secondo la Legge, dovrebbe essere nominato direttamente dal presidente ed essere persona di sua fiducia e gradimento. Anche qui i partiti vogliono dire la loro e circolano nomi di personaggi del tutto sconosciuti all’universo portuale, provenienti magari da altre pubbliche amministrazioni, ma che non hanno la minima conoscenza dei meccanismi complessi che si celano dietro le attività marittime. E la figura del segretario generale è quella del braccio operativo dell’ente.

Lunedì prossimo, 1 settembre, le commissioni parlamentari riprenderanno a lavorare dopo la pausa estiva. Al momento non si conoscono gli ordini del giorno delle singole sedute, ma tutto lascia ritenere che non si andrà all’attesa votazione sui nominativi per i quali è arrivato già il via libera da uno dei due rami del Parlamento.

E per qualcuno il braccio di ferro in atto tra i partiti di Governo potrebbe avere effetti clamorosi. Viene infatti giudicato impossibile che il Ministro competente, Matteo Salvini, possa tornare indietro rispetto a qualche scelta (vedi Palermo) che ha generato perplessità nello stesso centrodestra. Ma ciò allargherebbe ulteriormente il solco già scavato con Forza Italia del Governatore Schifani. E che succederebbe, viceversa, se il prossimo 9 settembre il Tar della Sicilia desse ragione a Schifani, bocciando la proposta di Salvini? Una serie di interrogativi, ai quali possono aggiungersi quelli legati all’effettiva conoscenza delle dinamiche portuali di alcuni presidenti espressione di Fratelli d’Italia, sui quali vengono nutrite non poche perplessità. Insomma, è davvero paradossale, ma mai come in questo momento i porti sono stati così importanti per il futuro del Paese.

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