Spiagge deserte, la regola “lunedì-venerdì” e il derby dei prezzi con Grecia e Croazia – Perché il turismo arretra
In Italia gli stabilimenti balneari soffrono: ma cosa c’è dietro alla crisi dell’estate 2025 – L’analisi dei balneari
Le immagini di stabilimenti balneari semi-deserti nei giorni feriali non raccontano un crollo del turismo, ma piuttosto una trasformazione del modello di vacanza che da oltre trent’anni caratterizza il litorale italiano: flussi concentrati nei fine settimana e nei festivi e una forte polarizzazione tra turismo organizzato e turismo domestico. Le presenze dal lunedì al venerdì si riducono drasticamente anche in località con tariffe medio-basse mentre nei weekend il quadro si ribalta: le spiagge tornano a lavorare a pieno regime, spinte sia dal turismo locale sia dai soggiorni brevi. Un fenomeno radicato, rafforzato negli ultimi anni da nuove abitudini di consumo e da sempre nuove esigenze della filiera dei turismi integrate da esigenze lavorative sempre più pressanti.
Il commento
«Innanzitutto, dalle interviste ai vari consumatori o avventori in spiaggia assistiamo a una crescente ricerca di forme alternative di vacanza – spiega Marco Maurelli, presidente di Federbalneari Italia –. Molte persone scelgono la montagna, i laghi, le città d’arte o l’estero: nel 2024, ad esempio, il 10,8% degli italiani ha optato per la montagna e quasi il 3% per i laghi. Il mare resta la meta preferita, ma oggi viene vissuto in modo più flessibile e frammentato. Allo stesso tempo, le vacanze lunghe di un mese o più non sono più la norma: ci si muove per periodi brevi o molto brevi, concentrandosi su uno o due weekend al massimo o scegliendo una settimana “mordi e fuggi”. Non è un caso se gli stabilimenti tornano pieni nei fine settimana, da maggio a settembre inoltrato».
I dati
Anche sul fronte economico il quadro è complesso. Dal 2012 al 2025 le tariffe di noleggio balneare sono cresciute mediamente del 20%, pari a circa meno del 2% medio annuo: un incremento contenuto se rapportato all’inflazione post-Covid, che tra il 2021 e il 2023 ha oscillato tra l’1,9% e l’8,1%, riducendo il potere d’acquisto delle famiglie con le retribuzioni in media inferiori di oltre il 12%. Nello stesso periodo, il costo del lavoro dipendente stagionale è quasi triplicato, arrivando a 110 euro giornalieri per lavoratore. «L’aumento delle tariffe è stato molto inferiore alla crescita dei costi di gestione – aggiunge Maurelli –. Molti imprenditori hanno provato negli anni e tuttora lo fanno, a non scaricare integralmente gli incrementi sul cliente consumatore finale, anche per preservare la competitività del settore».
Grecia e Croazia
Alla sfida interna si somma quella internazionale: in destinazioni come il Montenegro o Corfù l’IVA sul turismo è al 5%, condizione che in teoria permetterebbe di mantenere prezzi più bassi. Tuttavia, il confronto reale dimostra che l’Italia resta competitiva: una settimana di ospitalità in Grecia o Croazia costa in media 600 euro a persona, mentre per le stesse condizioni in Italia – che può offrire sia città d’arte che località balneari – la spesa media è di circa 500 euro a persona.
L’Italia, sottolinea Federbalneari Italia, continua a garantire un’offerta di qualità elevatissima, ma serve un confronto strutturale sul piano fiscale per sostenere il settore nel medio e lungo periodo. I dati complessivi del turismo estivo, comunque, restano solidi: oltre 36 milioni di italiani in viaggio e una spesa che supera i 41 miliardi di euro, a conferma che il mare continua a essere protagonista di un modello di vacanza in evoluzione.