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Giuseppe Santoro, il medico del cuore dei bambini: «Malattie cardiache e tachicardia, quando bisogna preoccuparsi»

di Maria Antonietta Schiavina

	Giuseppe Santoro
Giuseppe Santoro

Direttore dell'unità operativa complessa di cardiologia pediatrica e del congenito adulto all’Ospedale del Cuore di Massa, racconta il suo percorso: «Penso sempre che qualsiasi cosa decida, è quella che farei per un figlio mio»

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La passione per la cura del cuore al dottor Giuseppe Santoro è nata quando lui era ancora un bambino. «Quasi sicuramente – confessa con orgoglio filiale – volevo emulare mio padre, cardiologo, che mi parlava sempre con entusiasmo del suo lavoro». «Dopo il liceo – prosegue il dottore – mi sono laureato in medicina, conseguendo la specializzazione in cardiologia e avvicinandomi progressivamente al mondo delle cardiopatie congenite; quindi alla cardiologia pediatrica, perché affascinato da quella branca e dalla prospettiva di curare i bambini».

La cardiologia pediatrica è un settore della medicina di grande responsabilità.

«Però per l’ordinamento universitario italiano, è una branca “di confine” poco approfondita, sia nel corso della specializzazione di cardiologia, che in quella di pediatria. Ciò ha richiesto che mi specializzassi anche in pediatria, in modo da poter affrontare “a tutto tondo” i piccoli pazienti, non considerando solo il cuore, ma inserendolo nell’intero organismo da curare».

Ricorda il primo bambino cardiopatico di cui si è occupato?

«Bambini cardiopatici ne ho visti tanti e ad alcuni sono rimasto molto legato… In particolare ne ricordo uno. Proveniva dal Marocco ed era affetto da una cardiopatia complessa, che aveva già ricevuto numerose procedure chirurgiche. Restò in ospedale per molti mesi, prima di essere dimesso dopo l’ultimo intervento di chirurgia correttiva. Oltre a lui, che si lasciava controllare solo da me, avevo “adottato” tutta la sua famiglia e quando rientrarono in Marocco feci molte ricerche per sapere come stava il mio piccolo paziente, senza riuscire purtroppo ad avere notizie, cosa che mi ha fatto pensare a brutti presentimenti sul suo futuro».

Che tipo di emozione ha provato durante il suo primo intervento cardiologico? Paura? Tenerezza? Incertezza?

«Il carico emotivo di un mestiere come il mio è certamente superiore a quello di chi cura gli adulti, perché, come si dice spesso, il cardiologo pediatra ha non uno ma 3 pazienti: il bambino e i suoi genitori, che gli affidano angosciati la cosa più preziosa. Le emozioni che si provano in quei casi non sono mai “pure”, ma un insieme di tenerezza, paura dell’evoluzione della malattia e ansia nell’esecuzione degli interventi. Quello che personalmente mi protegge dal carico emozionale legato alla mia attività è la consapevolezza che qualsiasi cosa io decida, giusta o sbagliata che sia, è quella che deciderei per un figlio mio».

Il camice del medico spesso incute paura in un adulto, figuriamoci in un bambino! Come riesce a togliere o ad attenuare questa paura?

«Non indossandolo, sia in senso reale che figurato. Il segreto è quello di “accorciare le distanze” con il piccolo e la sua famiglia, rendendo partecipi tutti della condizione clinica e dei processi che portano alla scelta terapeutica, in modo che qualsiasi decisione non venga “calata dall’alto” ma sia frutto di una condivisione collettiva. Questo è tanto più importante quanto maggiore è il ruolo preventivo di ciò che si va a proporre. Mentre, infatti, è facile far accettare le scelte terapeutiche, anche rischiose, a un paziente sofferente e “a rischio vita”, è molto più difficile fare lo stesso con pazienti, e a maggior ragione con bambini, per i quali il consenso deve essere fornito dai genitori, che non sono al momento sofferenti, ma certamente lo saranno in futuro, quando il trattamento potrebbe non essere più possibile».

Le malattie cardiache a volte si manifestano già nel ventre materno. A che punto siamo oggi in fatto di prevenzione?

«La diagnosi di cardiopatia congenita può essere molto spesso fatta già nel corso della vita fetale mediante l’ecocardiografia. Questo permette di programmare controlli futuri e anche il parto in ambiente “protetto”, così da assicurare al nascituro la massima possibilità di trattamento nel minor tempo possibile. La struttura che dirigo (la Cardiologia Pediatrica e del Congenito Adulto della Fondazione “G. Monasterio” di Massa) , è il centro di riferimento della regione Toscana per la diagnostica, e per il trattamento delle cardiopatie congenite: un riferimento internazionale. Riceviamo, infatti, donne gravide con feto affetto da cardiopatia congenita da tutta Italia e anche dall’Europa, poiché abbiamo istituito un “percorso nascita” che consente la presa in carico della gravida e del suo bambino da parte di un team multi-disciplinare costituito da ginecologi, cardiologi, cardiochirurghi, anestesisti, neonatologi e psicologi. La donna partorisce nel nostro ospedale, il suo bimbo viene valutato subito dopo la nascita e, se necessario, trattato tempestivamente. Tale sistema è in grado di ridurre i rischi e migliorare il trattamento dei bambini con cardiopatia congenita, specie nelle forme complesse che tendono ad essere instabili precocemente».

Quali sono i sintomi che in un bambino devono allarmare per quanto riguarda il cuore?

«Dipende dall’età di insorgenza e dal tipo di cardiopatia. Nel neonato e nel lattante molto spesso i sintomi sono costituiti dalle difficoltà di alimentazione e dalla crescita stentata, oltre che da segni evidenziabili dal pediatra, quali il soffio cardiaco, la tachicardia e la respirazione difficoltosa. Il bambino più grande può invece fornire informazioni sul suo stato e quindi essere di maggior aiuto nell’inquadramento del problema. È importante però ricordare che in età pediatrica, il dolore toracico nella stragrande maggioranza dei casi non è espressione di patologia cardiaca, a differenza di quello che si riscontra nel paziente adulto. Le tachicardie invece sono quasi sempre espressione di ansia, paura o eccitazione e, molto raramente, di una patologia dell’impianto elettrico del cuore. Spesso, infatti, questi due sintomi sono solo un richiamo del bambino ai genitori, per avere maggiore attenzione, oppure espressione di disagio dovuta ad ambienti familiari o scolastici inadeguati».

Roberto, un suo piccolo paziente, poco tempo fa, durante il Carnevale, ha espresso il desiderio di mascherarsi con i panni di “quel medico”, cioè lei dottor Santoro, che nel 2020, in piena pandemia, lo aveva salvato.

«Il suo è stato un gesto bellissimo, che mi ha reso felice e orgoglioso, confermando che il mio approccio al lavoro è quello giusto».

Il mestiere che ha scelto però non le dà grandi spazi di libertà. Qualche volta si sente un po’oppresso?

«Il lavoro per molti di noi è totalizzante, per cui è difficile, una volta a casa dimenticarsene. Però non significa che io mi senta oppresso, perché mi piace troppo ciò che faccio e le soddisfazioni che ne ricavo».

Ma almeno ha degli hobby, delle distrazioni? Fa sport?

«Amo i viaggi e le letture. Lo sport purtroppo, è invece ormai una chimera, sia per il poco tempo, ma anche per l’età e la scadente condizione fisica. Riesco comunque ogni tanto a ritemprarmi e a godere dei momenti liberi. Per tornare poi con entusiasmo a svolgere un compito gravoso, con la consapevolezza che dal mio impegno e quello dei miei colleghi, dipende il destino di tante vite».

La carriera

Laureato in Medicina e chirurgia all'Università di Napoli, Giuseppe Santoro, (nato a Salerno, classe 1962, due figli) è specializzato in malattie dell’apparato cardiovascolare, in pediatria e in cardiochirurgia. È stato vincitore di borsa di studio della Società italiana di cardiologia per un periodo di Fellowship in cardiologia pediatrica invasiva nel 1994, Principal Co-Investigator del sub-progetto “Diagnostica integrata nelle cardiopatie congenite” e “Valutazione della funzione endoteliale in pazienti sottoposti a intervento di Fontan: basi razionali per un nuovo approccio terapeutico”. È stato professore a contratto della scuola di specializzazione in cardiologia, università “Federico II” di Napoli dal 2010 al 2016. Professore a contratto alla scuola di specializzazione in cardiologia all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro dal 2012 al 2014, è stato dirigente medico I livello, divisione di cardiochirurgia, al “S. Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona” di Salerno dal 1995 al 1998; quindi dirigente medico I livello, responsabile di emodinamica pediatrica all’università “Vanvitelli” di Napoli. Dal 2017 lavora per la Fondazione Monasterio ed è direttore della unità operativa complessa di cardiologia pediatrica e del congenito adulto all’Ospedale del Cuore di Massa. Dal 2018 è direttore dipartimento di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica e del congenito adulto.

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