La guida
5G in Toscana, perché la Regione studia le “stazioni radiobase” e lo strano ruolo della Russia
Le parole dell’assessora Monni: «Servono ulteriori approfondimenti, è solo un monitoraggio»
«Ho semplicemente dato attuazione alle norme che la Regione ha scelto di darsi nel rispetto delle norme nazionali che attribuiscono proprio alla Regione la competenza sanitaria di fare approfondimenti sul tema quando sono ritenuti necessari dalle proprie strutture tecnico-scientifiche». È quanto spiega a margine di un evento di Coldiretti, nella mattina di venerdì 27 settembre, l’assessora regionale all’Ambiente, Monia Monni, parlando coi giornalisti in merito all’aspro dibattito che si è aperto in Toscana, e non solo, a seguito dell'approvazione da parte della Giunta di una delibera che autorizza uno studio biennale dal costo di oltre 200 mila euro sugli effetti sulla salute del 5G.
Cosa dice l’assessora
«Ho dato seguito al monitoraggio richiesto dalla legge regionale – si difende l'assessora – questo monitoraggio ha prodotto un contributo di Arpat e dell'Asl che evidenziano la necessità di fare ulteriori approfondimenti». Monni precisa: «Nessuno vuole frenare la connettività, siamo consapevoli di quanto sia fondamentale anche per diminuire le disuguaglianze sociali e territoriali, però bisogna tenere tutto in equilibrio e bisogna che al progresso sia affiancata anche una totale sicurezza delle popolazioni e un rispetto ovviamente dell'ambiente». L’assessora menziona anche l'ordine del giorno approvato dal Consiglio regionale, «a maggioranza e con un solo voto contrario, che chiede alla Giunta di finanziare uno studio. La Giunta ha dato seguito a questa richiesta. Lo facciamo continuamente su tante questioni e francamente mi sfugge il motivo di così tante polemiche intorno a una ricerca, un approfondimento che poi in larga parte è un monitoraggio da parte di Arpat come facciamo su tantissimi altri temi». L’assessora chiude la riflessione con una stilettata: «So benissimo quali interessi intendo difendere, a volte mi sfugge quali sono gli interessi che difendono gli altri». In particolare, lo studio della Regione si concentra sugli effetti del 5G per capire se ci sia un legame fra i tumori accusati dalla popolazione, soprattutto infantile, e i campi elettromagnetici generati dalle «stazioni radiobase» che stanno punteggiando la Toscana per portarla nella quinta generazione di internet e della telefonia mobile.
Il legame con la Russia
Sul 5G e il caso che si è aperto in Toscana si riaffaccia l’ombra della macchina della disinformazione russa. A ricostruire il contesto, in quello che si presenta anche come un tentativo di rinfrescare la memoria agli esponenti istituzionali e politici della propria regione, è il commissario all’Agcom Antonello Giacomelli in un post su Facebook. La vicenda risale al 2017 quando il governo Renzi, che contava la presenza dello stesso Giacomelli investito della delega alle Comunicazioni, decise la sperimentazione della nuova tecnologia in cinque città ovvero a Milano, Bari, Prato, L'Aquila e Matera: «Eravamo fra i primi in Europa, mentre altre realtà mondiali, Stati Uniti e Corea del Sud su tutti, erano molto più avanti – spiega l'attuale commissario Agcom – in poco tempo nacque la reazione di alcuni comitati anti 5G che puntavano a diffondere panico nella opinione pubblica sugli effetti pericolosi del 5G. Tutte le verifiche scientifiche però fatte da noi e dagli altri Paesi occidentali mettevano in risalto la totale infondatezza delle bufale che questi comitati facevano circolare». I detrattori trovarono ben presto alimento da una precisa fonte: «Gli organi di sicurezza italiani e occidentali non impiegarono molto ad individuare l’origine di questo massiccio lavoro di disinformazione, al quale i comitati anti 5G attingevano, e focalizzarono la loro attenzione su alcuni siti legati alla propaganda russa – precisa Giacomelli – ed in particolare su Russia Today, finanziata dal governo russo e molto attiva su questo fronte in Italia, nei Paesi europei e negli Stati Uniti». La rassegna stampa sulla materia è ricca e l'ex sottosegretario la riporta allegandola al post. Ad ogni modo, vennero adottate delle contromisure ma non sufficienti evidentemente a comprimere del tutto le fake news. E questo, sottolinea il commissario dell’autorità garante delle comunicazioni, «nonostante ormai ci siano le prese di posizione chiarissime di tutti i più importanti organismi internazionali. A parte quelli russi, ovviamente». D'altra parte la catena di "leggende” sul 5G si è addirittura arricchita in epoca post-pandemica. Circostanza che dovrebbe spingere a un'attenzione ancora più vigile sui rischi di incappare nella disinformazione interessata, il che porta Giacomelli a una conclusione amara: «Ho sempre creduto che tutto questo fosse noto almeno ai gruppi dirigenti ed alle istituzioni e che ogni persona di buon senso si sentisse parte, soprattutto se investita di responsabilità pubbliche, dello sforzo congiunto delle democrazie di contrastare il diffondersi di questi insidiosi, ma ormai scoperti tentativi di destabilizzazione. Evidentemente mi sbagliavo».