Georgofili: lo zio di Nadia, morta nella strage: «Con la morte di Messina Denaro non sapremo mai la verità»
Sono passati 30 anni dall’attentato del 27 maggio 1993, ma è come se fosse ieri. Appena ieri quando una domenica la piccola, con l’allegria tipica dei bambini, mostrava «un fogliolino di carta» tutto scribacchiato
«Se ne è andato l’ultimo anello per sapere la verità “vera” sulla strage di via dei Georgofili». Matteo Messina Denaro, boss della mafia, è morto. E per Luigi Dainelli, 86 anni, zio delle due bimbe vittime della strage di Firenze insieme al babbo, Fabrizio – cognato di Luigi – e alla mamma Angela, l’unico rimpianto è questo: «Mi è dispiaciuto perché speravo che non se ne andasse senza aver parlato. Per il resto provo solo indifferenza, nessuna pietà: non voglio spendere tempo né in odio, né nel finto perbenismo del perdono».
Sono passati 30 anni dall’attentato del 27 maggio 1993, ma è come se fosse ieri. Appena ieri quando una domenica Nadia, con l’allegria tipica dei bambini, mostrava «un fogliolino di carta» tutto scribacchiato. Sopra una poesia su un tramonto. «“L’hai scritta te?” Le chiedemmo io e mia moglie. “Diamine, chi altro sennò?” Ci rispose». Tre giorni dopo l’attentato in via dei Georgofili. E da quella poesia prese il nome l’operazione che portò alla cattura del boss.
Dainelli, cosa ha provato alla notizia della morte di Matteo Messina Denaro?
«Non era un “picciotto”, ma un capo. Era l’ultimo anello che poteva dire la verità sulle stragi, favorite da una parte dello Stato e di altre forze deviate, non solo politici ma forse anche servizi segreti, come ha detto anche il presidente della Repubblica lo scorso maggio. Ammetto che, quando catturarono Messina Denaro, un briciolo di speranza sul fatto che parlasse l’ho avuto. Che svelasse, anche per lavarsi la coscienza, le menti che suggerirono alla mafia di attaccare lo Stato nei monumenti. Inoltre, speravo che campasse 30 anni ancora, ma in prigione, al 41 bis, al carcere duro: una persona del genere ha fatto troppo pochi giorni di galera. Per il resto provo solo indifferenza».
Per lei quindi la verità ormai non verrà più fuori.
«Penso che sia andata persa per sempre. Qualcuno stamani (ieri, ndr) ha brindato con lo spumante, si è levato un bel peso con la paura che Messina Denaro parlasse. Ci sono ancora persone vive che si sono intrufolate in queste storie. Non sapremo mai chi. E questo ci provoca rabbia».
Nonostante le indagini?
«Ci sono state condanne ed ergastoli. La magistratura sta indagando ancora. Però ha bisogno di prove, di qualcuno che parli, che racconti e dica “sì, è andata così”».
Cosa si ricorda del giorno della strage?
«Per noi è come se fosse successa ieri. Da quella notte in cui siamo andati all’obitorio a vedere i nostri cari non è cambiato nulla».
Cosa le manca di più?
«Fabrizio, il fratello di mia moglie, insieme alla moglie e alle due figlie, veniva qui da noi, a San Casciano Val di Pesa, due volte alla settimana. Si stava tutti insieme, in armonia. Come una famiglia normale. Nadia poi era una bambina allegra, scriveva benissimo. Anche la notte in cui ci fu l’attentato sarebbero dovuti restare a dormire da noi. Poi, invece, tornarono a Firenze perché volevano organizzarsi per andare al mare. Però è inutile pensare al destino. Pochi giorni prima che morissero, la domenica ci si incontrò tutti, amici e familiari, per battezzare la piccola, Caterina. Quel giorno Nadia ci fece vedere la poesia».
“Tramonto”, quella che ha ispirato il nome dell’operazione che ha portato alla cattura del boss Messina Denaro?
«Esatto. A Nadia l’ispirazione venne qui. Il tramonto lo guardava dove ora è sepolta. Mi ricordo che la fece leggere a me e mia moglie. Ci guardammo, ci piacque molto. Poi, a scuola, aggiunse il disegno con il sole e la mise nel quaderno. Il sabato dopo si è fatto il funerale di tutti e quattro. Noi viviamo giorno per giorno, mia moglie specialmente, è difficile che non pianga tutti i giorni. Non ha figli, e quando perse loro, perse tutto il suo futuro. Andiamo al cimitero tutti i giorni».
A distanza di 30 anni, secondo lei, qualcosa è cambiato?
«Vado nelle scuole a parlare di mafia, di legalità. Si cerca di creare una cultura contro le infiltrazioni mafiose, ma ci sono ancora. La mafia ha solo cambiato veste: non è più quella stragista. Ora è la mafia degli appalti, degli affari: al posto della coppola e della “lupara” si è messa il doppio petto».
Non è meno pericolosa.
«Assolutamente. Dobbiamo stare attenti».
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