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Toscana

Dopo le amministrative

Marcello Pera: «Campi larghi sì, ma serve identità»

intervista di Barbara Antoni
Marcello Pera: «Campi larghi sì, ma serve identità»

30 giugno 2022
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La vittoria del centrodestra allargato alle comunali lucchesi lo ha innegabilmente riempito di soddisfazione, tanto più che Mario Pardini, neo sindaco di Lucca (a capo di una coalizione con liste civiche anche di estrema destra oltre ai partiti) è notoriamente molto vicino a lui. Ma il professor Marcello Pera, lucchese doc, filosofo e senatore di Forza Italia dal ’96 al 2013, oltre che ex seconda carica dello Stato (è stato presidente del Senato dal 2001 al 2006), come sempre guarda molto oltre i confini lucchesi. Guarda all’Italia e alla politica nazionale che da tempo ormai non riesce a ricomporsi in schieramenti solidi e maturi.
 

Presidente Pera, è contento del risultato delle amministrative di Lucca? Indirettamente ha contribuito anche lei, dando dei buoni consigli al candidato sindaco del centrodestra, oggi sindaco, Mario Pardini.

«Altroché se sono contento. Ma Mario Pardini non ha bisogno di molti buoni consigli. È pacato, studioso, si informa, è decisamente moderato: ha le caratteristiche di governo questo ragazzo. È anche equilibrato, per niente fazioso: ha le caratteristiche tipiche dei lucchesi, nel bene e nel male. È vero, alle amministrative di Lucca c’è stata una volontà di discontinuità, ma da quei tre gatti che sono andati a votare. Se vota solo il trenta per cento della gente, si va a finire male».


Secondo lei, presidente, l’esempio del campo largo del centrodestra uscito vincitore dalle amministrative lucchesi, un misto di partiti tradizionali e civismo con orientamenti variegati, potrebbe essere il modello politico giusto da adottare anche su altri scenari, come le elezioni politiche che aspettano a breve gli italiani?

«Guardi, io sono un bipolarista: vedo in realtà non uno ma due campi larghi possibili. Sono i liberalconservatori da una parte e i socialdemocratici dall’altra. Può darsi che nel frattempo ne nascano altri di campi, sulla scorta di questa fantasia del centro di Carlo Calenda e Matteo Renzi, che però ad oggi è inesistente. I due campi larghi però devono darsi un’identità, sennò uno diventa un nuovo Ulivo, e sappiamo che non funziona, mentre l’altro diventa un Ulivo di destra. Quindi, lo ribadisco, bisogna che i rispettivi leader trovino un’identità a ciascuno dei due schieramenti. Ma per fare questo, devono esserne all’altezza. Altrimenti, se ci va bene, ci ritroviamo Mario Draghi al governo; in alternativa ci ritroviamo in altre avventure che non si sa dove ci portano».


Ma come possono i leader politici riuscire a trovare un’identità ai propri campi larghi?

«Eh, non è facile. Devono avere il guizzo, l’intuizione azzeccata. Perché un aspetto è evidente: senza una dose di creatività, gli italiani non ci vanno a votare».


Lei cosa suggerisce ai leader, a questo proposito?

«Una cosa è certa: la strategia populista è finita. I liberalconservatori, come i socialdemocratici, devono saper rispettare ciascuno i propri valori fondamentali. C’è molto da costruire e da ricostruire. Abbiamo tutti sotto gli occhi, ad esempio, le difficoltà che ha un Enrico Letta nel cercare il modo giusto per tenere un Giuseppe Conte: i Cinquestelle ci staranno nel campo largo dei socialdemocratici? E dall’altra parte, quella dei liberalconservatori, i tre partiti del centrodestra (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, ndr) riusciranno a mettersi d’accordo? Esperienze come quella di Lucca mostrano che la gente si fida più delle persone che di vecchie bandiere. Il centrodestra, se vuol governare, deve avere ben presente tutto questo». 

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