La tragedia
Il 5&5 più gustoso? Si trova a Livorno ma è un po’ francese...
La famosa torta di ceci alla maniera labronica: una tradizione unica anche nel nome Dal 14 al 17 maggio protagonista alla Biennale del mare
Li rivedremo ancora sul campo, dopo l’iniziativa a scopo benefico del primo fine settimana di questo mese, anche in occasione della Biennale del Mare che attirerà a Livorno studiosi e turisti dal 14 al 17 maggio. Sono i Fantastici Sette dell’associazione tortai livornesi (Alepizza, Cecco, Forti, Gagarin, I tre canti, Leone e Seghieri) che daranno modo di assaporare il famoso prodotto di street food e gustarlo camminando lungo uno dei luoghi più suggestivi della città, location usata per tante pubblicità televisive e su carta patinata: la Terrazza Mascagni. Proporranno il cinque e cinque, risultato di un paio di bei triangoli di torta tagliati usando la mestola come fosse la spada di Zorro direttamente dalla teglia appena sfornata, rinchiusi nel pan francese. Un vero must, anche se da più di quarant’anni si è diffusa la variante con la focaccia che è molto meno salata rispetto all’originaria.
Un pane, il "francese", che di richiamo al transalpino ha solo la forma allungata tipo baguette, ha un solco proprio in mezzo sul quale ci va il sale grosso e la cui produzione, a Livorno, nasce probabilmente nel periodo del Risorgimento, quando arrivò nel 1849 l’occupazione austriaca con le truppe di Costantino D’Aspre forti di 18mila soldati e l’esigenza degli invasori a farlo preparare secondo la loro usanza. Si chiama cinque e cinque, perché cent’anni fa significava desiderare l’equivalente di cinque centesimi di lira in torta ed altrettanti di pane. Una merenda mattutina e pomeridiana buona per tutte le stagioni e di grande sostegno per le persone che dovevano lavorare. Una bella spolverata di pepe nero ed è fatta. Negli anni ’70, presumibilmente in zona dei quartieri Corea-Shangai, la fantasia e la sperimentazione, offrirono la possibilità di arricchirlo con una fetta di melanzana sotto il pesto. Anche se costa poco di più, è tutta da provare. Ma quella che è chiamata torta a Livorno, cecina a Pisa, calda calda a Massa e Carrara, farinata in Liguria, si mangia anche senza nulla. A casa o nel locale, in un piatto, o semplicemente adagiata su un foglio, aiutati dalla forchetta. Con la stoviglia usata di taglio per dividere nella quantità desiderata questa bontà leggermente sbruciacchiata nella parte superiore e bollente dentro come fosse lava. Da più parti se ne reclama la paternità, c’è chi dice che quella livornese sia superiore a quella pisana anche se all’ombra della torre pendente vorrebbero richiedere il marchio Igp. Quello su cui non si può tuttavia discutere, è la definizione "oro di Pisa". Perché la torta è nata per caso oltre settecento anni fa. Tutta colpa della battaglia della Meloria, quando Genova sconfigge la Repubblica marinara nemica e vengono stivati in gran quantità nelle navi i prigionieri. Una tempesta sorprende la flotta che a stento non affonda per il gran peso che trasporta. Con le derrate alimentari costituite da olio e farina di ceci, rovesciate e mescolate all’acqua di mare che era penetrata venendo giù dalla coperta, andando a costituire una poltiglia a pavimento. Per niente sprecare, pasto buono per l’equipaggio che in gran parte decise di non mangiare lasciando tutto al calore del sole. Ma con la fame che avanzava e quella poltiglia nel frattempo compattata, fecero cambiare idea. Per giunta, si rivelò una vera squisitezza. Perfezionata in seguito la formula, e soprattutto cuocendo tutto in forno, ecco il prodotto semplice ed altamente nutritivo arrivato ai giorni nostri. Impasto di acqua e farina, portato a uno stato liquido, facendo riposare il tutto almeno quattro ore. E poi, nelle giuste dosi, sale e olio, prima dell’informata in grandi teglie di rame zincato che permette una cottura a fuoco elevato. Se tutto è ok, la crosta deve apparire legata allo strato sottostante. Inoltre, non deve essere né troppo unta né troppo umida. Significherebbe non aver calcolato bene le percentuali di acqua e olio. E con cosa accompagnare (l’acqua è un sacrilegio) un 5&5 o la torta da sola? L’abbinamento classico livornese è costituito dalla spuma bionda, bibita analcolica effervescente inventata nelle Marche che vantò produttori di grido proprio anche a Livorno con la Baldacci&Luperi. C’è chi preferisce invece una birra, chi il vino rosso, chi addirittura (ormai in disuso) il mezzo e mezzo, un rosso fermo da tavola allungato con la spuma. Poi, c’è il palato alla ricerca di sensazioni particolari che assicurino note saline e agrumate e, perché no, anche speziate. Ecco allora nella comodità delle mura domestiche, l’attenzione su un prosecco di qualità o un Vermentino. Se vogliamo poi liberare i sensi nella prateria del godimento, il top è un bianco in barrique. Di toscani ottimi ce ne sono senza fare un mutuo e l’esperienza dell’accostamento con la torta vale tutta la spesa.l