Il Tirreno

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Conservare il cibo con la ricetta più antica del mondo: l’idea di due fratelli toscani strega la cucina di lusso

di Irene Arquint

	Filippo Zammarchi e il fratello Riccardo coltivano ortaggi e verdure trasformandoli e conservandoli al modo orientale della fermentazione
Filippo Zammarchi e il fratello Riccardo coltivano ortaggi e verdure trasformandoli e conservandoli al modo orientale della fermentazione

Ripescando dai ricettari di famiglia e attingendo alle colture toscane, Filippo e Riccardo sono diventati un must nell’alta ristorazione

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È il metodo più antico per conservare il cibo. Perché il più facile e sicuro, accessibile senza chiedere aiuto a macchinari o strumenti costosi. Bastano sale e contenitori di vetro. Piace alle cucine di casa ma anche ai professionisti dello sparato fra i quali impazza la voglia di sperimentare su qualsiasi genere di alimento.

Pratica antica

Certo è che questa tecnica giunta a noi dall’oriente, è una pratica che si perde nella notte dei tempi e di cui rinveniamo traccia nelle acciughe marinate, nelle olive essiccate e messe sotto salamoia, nei crauti altoatesini, nei diffusissimi formaggi. Ripescando dai ricettari di famiglia e attingendo alle colture toscane, i fratelli Filippo e Riccardo Zammarchi ne stanno facendo uno dei prodotti di punta di Bucolica, l’azienda agricola che 5 anni fa hanno fondato a Lastra a Signa, sul limitare fra la campagna e la città. «Si dicono fermentati quando gli alimenti hanno subito volutamente una trasformazione attraverso microrganismi come lieviti e batteri - spiega Filippo Zammarchi - È una pratica di conservazione che ci permette anche di esplorare nuovi orizzonti gustativi».

Contro gli sprechi

Dapprincipio li ha guidati l’avversione allo scarto. Filippo e Riccardo hanno infatti iniziato ad indagarne le peculiarità partendo da bucce di carote, costole di cavolo nero o di cicoria, torsoli di cavolo, foglie di barbabietola cui è stata donata una vita in barattolo. Come? Shakerando ricette oggi associate alla cucina orientale con ingredienti del territorio, spesso in esubero o appunto scarti a cui evitare l’oblio della pattumiera. Grazie alla fermentazione acquistano una migliore masticabilità ammansendone la fibra, e in più guadagnano anche in sapore. Dai 20 giorni al mese è ad esempio pronto il kimchi, piatto tradizionale coreano che a Bucolica viene realizzato con verdure biologiche coltivate in azienda: verze, porri, susine selvatiche, aglio, peperoncino e ovviamente il sale. Tutto a crudo, perché nessun ingrediente viene cotto, a conservarlo ci pensa il processo fermentativo.

La spiegazione

«Spesso una volta raggiunto il punto ottimale di fermentazione, mai comunque prima dei venti giorni, alcuni produttori scelgono di pastorizzare - aggiunge Filippo Zammarchi - rinunciando però alla carica probiotica utile al benessere del nostro organismo». Bucolica è azienda agricola in cui si coltiva e si trasforma, ma anche circolo culturale dove vengono proposti corsi, degustazioni, un’osteria e infine un bar estivo. Affacciati sui campi qui si consumano interessanti drink a base di kombucha alla menta e salvia, oppure alla melissa e barbabietola o ancora al finocchietto selvatico, idromele e sciroppi realizzati con erbe e frutta. Fa parte della Comunità del cibo e dei grani antichi di Montespertoli e dei Colli Fiorentini, seguendo la cui missione di salvaguardia di varietà del germoplasma toscano, coltivano grani studiati dal prof Benedettelli dell’Università di Firenze, ma anche legumi con cui confezionano un miso tutto toscano. E se in questo caso la ricetta giapponese prevede l’impiego di soia, i fratelli Zammarchi invece la sostituiscono con fave lunghe delle Cascine, ceci piccini Fiorentini, piselli o ingredienti del territorio. «In Oriente le salse di miso vengono prodotte con un cereale e un legume, solitamente riso e soia - spiegano - La bellezza delle biodiversità è che offrono variazioni. E questo è ciò che vogliamo proporre nel mondo della fermentazione, attingendo a prodotti che coltiviamo». Ossia grani antichi, legumi, fino a spingersi verso ulteriori sperimentazioni. «Come quella con il pane, una sfida per consumare quello in eccesso andando oltre la classica ribollita e pappa al pomodoro - aggiungono - è quindi nato il miso di pane ai grani antichi coltivati dalla Comunità del cibo di Montespertoli e dei Colli Fiorentini che speriamo di lanciare il prossimo anno». E sempre nell’idea di valorizzare il territorio, osservando la biodiversità che pullula attorno, la loro attenzione è stata attratta dalle ghiande. «La storia ci dice che vengono impiegate da sempre sotto forma di farine, caffè e altro. Per cui abbiamo provato a farci il miso reso ancora più morbido e dunque spalmabile grazie alla parte grassa presente nel frutto del quercia», ma anche di questo se ne vedrà l’evoluzione fra qualche mese.

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