Il riciclo della marmettola: da scarto a fertilizzante
L’innovazione parte dal progetto della Scuola Normale Superiore di Pisa nel suo laboratorio Nest
In principio furono gli antichi egizi a intuire che le polveri di roccia potessero essere usate come fertilizzante per le coltivazioni. Oggi è il laboratorio Nest-National enerprise for nanoscience and nanotechnology della Scuola Normale superiore di Pisa che ha aggiornato questa antica scoperta, riadattandola al contesto produttivo toscano, grazie alle conoscenze scientifiche e tecnologiche della materia alla nano-scala. Come si è arrivati a questa scoperta lo racconta Andrea Guerrini, ricercatore della Normale di Pisa presso il laboratorio Nest.
Come nasce questo progetto?
«Nel 2018 vinco il bando della regione Toscana per un assegno di ricerca per studiare i residui del marmo, quindi la produzione dell’estrazione del lavoro delle cave, l’estrazione mineraria».
Che materiale è il residuo del marmo?
«Può avere varie forme e dimensioni. Noi ne studiamo nano e microstruttura, quella che è più impattante per l’ambiente, che forma la marmettola».
In che modo impatta la marmettola?
«La marmettola è un materiale leggero che si deposita ovunque, soprattutto sul fondo dei fiumi, danneggiandone la flora e la fauna».
È impattante anche sotto altri punti di vista?
«Anche per i cavaioli è un materiale problematico, perché se alcuni frammenti di varie dimensioni si riescono a riutilizzare, ciò non vale per questo materiale leggero. La polvere di marmo viene smaltita in discarica, non viene riusata, e quindi è un costo per l’industria del marmo, perché appunto non può essere recuperata».
L’obiettivo della vostra ricerca qual era?
«Il mio progetto, in collaborazione con la Scuola superiore S’Anna, puntava a trovare un’applicazione per questo materiale nel campo dei fertilizzanti. Il marmo di per sé è un fertilizzante in misura limitata, perché il carbonato di calcio può fornire il calcio, appunto, ad alcune piante che ne hanno bisogno. Ma non può essere usato in grande quantità, perché limiterebbe il ph del terreno».
Come avete svolto il vostro progetto?
«Abbiamo deciso di integrare la polvere di marmo con scarti gli scarti della lavorazione delle industrie del cuoio. Lo abbiamo fatto perché dai processi di purificazione della concia si hanno numerosi materiali ricchi di potassio e fosforo, e proteici in generale, come il collagene e la cheratina».
Come avviene il processo di creazione del fertilizzante?
«Gli scarti della concia si integrando al carbonio di calcio e così si forma un materiale che possa essere usato come fertilizzante. Siamo così riusciti a produrre una sorta di spugna, materiale che è composto per la maggior parte del suo volume da vuoti d’aria. Una volta utilizzata all’interno del terreno questa “spugna” pensiamo possa sostenere la crescita delle piante».
Questa scoperta ha anche degli effetti positivi per le piante rispetto al cambiamento climatico?
«Questo fertilizzante avrebbe delle proprietà che permettono alla pianta di resistere meglio ai periodi di siccità. Abbiamo osservato che provocando dello stress alla pianta dovuto alla riduzione dell’innaffiamento le piante trattate con il nostro fertilizzante hanno subito meno danni rispetto a quelle trattate con altri prodotti. Quando ne avremo le conferme, il prodotto quindi potrà essere pensato per mitigare gli effetti della siccità. Potremmo anche lanciarlo sul mercato, rendendolo appetibile con ulteriori proprietà biostimolanti».
Una volta terminato il progetto, il prodotto potrebbe arrivare sul mercato?
«I prodotti già in commercio sono buoni e costano poco. Il nostro fertilizzante ha degli aspetti interessanti. Quello che dovremmo fare per lanciarlo sul mercato sarebbe trovare una formulazione giusta che lo rendesse appetibile».
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