Il ricordo

Scirea, mai più come te. La moglie: «Conservo ancora la lettera di quel pastore…»

di Luca Tronchetti
Scirea, mai più come te. La moglie: «Conservo ancora la lettera di quel pastore…»

Oggi avrebbe compiuto 70 anni il simbolo di eleganza e fair play. Zoff: era unico. La moglie: nel calcio di oggi porterebbe i suoi valori

25 maggio 2023
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Il suo incedere elegante in campo, quel suo stile pacato e rassicurante, quel suo modo gentile di comunicare senza mai alzare i decibel, avrebbe potuto essere utile a un calcio malato che riflette allo specchio un paese dove il bercio, l’insulto, l’aggressione verbale e talvolta anche fisica fanno parte di una macchina del fango che serve per denigrare ed eliminare l’avversario scomodo. Oggi Gaetano Scirea, campione del Mondo e portabandiera di uno sport sano e genuino, avrebbe compiuto 70 anni.

CLASSE E TRIONFI

Lui, adesso libero dell’universo, gli avversari li surclassava a testa alta senza falli, scorrettezze e colpi bassi, ma dall’alto di una classe cristallina. Mai un’espulsione, un gesto scomposto, una frase di troppo, un aggettivo fuori posto, in vent’anni di carriera condita da 14 trionfi con la Juventus (7 scudetti, due coppa Italia, una coppa Intercontinentale, una coppa dei Campioni, una coppa delle Coppe e una supercoppa Uefa e una coppa Uefa) e soprattutto da quello splendido mondiale di Spagna 1982 che ha contrassegnato un’epoca irripetibile della nostra storia. Uno di quei pochissimi protagonisti del pallone ammirato in modo trasversale e in grado di sottrarsi dal campanilismo del tifo tanto che, negli infuocati derby degli anni Settanta con il Torino, Gai e Zoff erano gli unici a non essere sfiorati dai beceri insulti degli ultras. Scirea era un beniamino di quei supporters che amano un calcio pulito, senza alcun tipo di violenza o razzismo, con le famiglie e i bambini allo stadi

LA TRAGEDIA

Stava studiando da allenatore Scirea _ dopo aver collezionato 552 partite con la maglia della Vecchia Signora _ e aveva iniziato come secondo dell’amico di vita e di calcio, Dino Zoff, quando il 3 settembre 1989 in un viaggio di lavoro per la sua Juventus alle 12,52 sulla superstrada da Katowice a Varsavia dove si sarebbe imbarcato sull’aereo che lo avrebbe dovuto riportare a Torino, l’auto su cui viaggiava si scontro con un furgone Zuk e prese fuoco poiché, nel bagagliaio, erano state sistemate delle taniche di benzina.

IL MITO

Muore il campione e nasce la leggenda. Perché a quasi 34 anni di distanza dalla tragedia ancora oggi Scirea è sinonimo di serietà, educazione, serenità interiore in un leader silenzioso e riservato che sul rettangolo verde esibiva una sicurezza disarmante e sapeva, con l’esempio, trascinare i compagni. La domanda allora sorge spontanea: quanto avrebbe fatto comodo oggi al calcio italiano uno come Gaetano Scirea? Sarebbe riuscito con la forza della ragione e del dialogo a fare proseliti, a coltivare l’esempio e a cambiare, decisamente in meglio, uno sport che ha perso l’antica dignità nel nome del show-business o a modificare un sistema che ha reso gli idoli delle folle dei divi lontani e irraggiungibili?

MOGLIE E FIGLIO

La moglie Mariella Cavanna non ha dubbi: «Probabilmente Gaetano non si sarebbe trovato a suo agio in questo calcio, ma conoscendolo avrebbe combattuto la sua battaglia con i valori che lo hanno contraddistinto basati sull’umiltà e la tolleranza. E alla fine - anche se il mondo è profondamente cambiato da quando lui debuttante in A a 19 anni nell’Atalanta lavorava in una officina - avrebbe fatto proseliti. Per Gai l’avversario era un rivale e non un nemico. Pensi che i rapporti con i giocatori del Toro erano talmente buoni che figli di Claudio Sala e Salvadori hanno fatto da testimone di nozze al nostro Riccardo. Certo c’erano delle regole, prima del derby guai a incontrarsi e a parlare, ma alla fine dei 90 minuti la stima, l’amicizia e il rispetto non venivano mai meno. Quando mio marito è morto ho ricevuto 2500 lettere e 7000 telegrammi da tutta Italia: politici, insegnanti, professionisti, casalinghe, operai. Una di queste missive mi commuove ancora oggi. Era indirizzata a lui da un pastore sardo, una persona non istruita che non aveva la tv in casa e per tutta la settimana stava fuori a pascolare il gregge. Non era un tifoso, non conosceva Gaetano che aveva visto in un’intervista alla Rai, nella tv in bianconero del bar del paese. Era rimasto colpito da quegli occhi buoni tanto da considerarlo alla stregua di uno di famiglia e chiudeva con la frase Addio, figlio mio». Riccardo Scirea, oggi responsabile dell’area di match analysis della Juventus, ricordando il papà cerca di proiettarlo nel calcio odierno: «L’ho perso quando avevo 12 anni e la notizia l’appresi in tv mentre ero in vacanza dai nonni. Fu uno choc terribile e devo ringraziare mia mamma se sono riuscito con il tempo a superarlo. Dico la verità: mio babbo non avrebbe avuto vita facile con gli odierni isterismi del calcio giocato, ma sicuramente si sarebbe comportato con il buonsenso e l’umanità che utilizzava ogni giorno. Quando iniziai a giocare non volle portarmi nelle giovanili della Juventus. Scelse, com’era accaduto a lui che aveva iniziato nella Serenissima Pio X di Cinisello Balsamo, il settore giovanile Mirafiori. E non si è mai intromesso. I momenti più belli li ho vissuti quando mi portava con lui agli allenamenti e attendevo con trepidazione il fischio di Trap per palleggiare con lui».

L’AMICO DINO

Dino Zoff, l’amico della vita, dall’alto dei suoi 81 anni, ritiene la perdita di Scirea una iattura per l’intero movimento: «Il sistema è cambiato, ma il suo stile unico e inimitabile avrebbe sfidato la modernità e la sua trasparenza avrebbe fatto sicuramente del bene all’ambiente. Lui era uno vero: me ne accorsi subito quando venne nella Juventus. Lo studiai per qualche mese perché mi sembrava potesse fingere: attento e disponibile con tutti. Invece Gai era proprio così. Dopo aver vinto uno scudetto, uscendo dalla discoteca dove avevamo festeggiato, stavamo incamminandoci verso il chiosco in piazza per acquistare il giornale che parlava di quell’impresa. Erano le sei del mattino e in lontananza abbiamo visto gli operai della Fiat che andavano al lavorare. Abbiamo pensato la stessa cosa: alzare i tacchi e allontanarci. Questione di rispetto. E lui l’aveva per tutti. Per me era uno di famiglia e il suo ricordo ancora oggi mi commuove».

I RICORDI DI BRIO

Sergio Brio, per anni compagno di reparto e di vittorie, non riesce a immaginare Scirea nel calcio moderno: «Lui è stato un personaggio unico e sarebbe stato a disagio in un mondo e in una società dove la parola data non ha valore. Era il vessillo della serietà e della correttezza e avrebbe dovuto combattere contro coloro che fanno strali delle antiche virtù. Il suo futuro sarebbe stato in panchina, antitesi di certi allenatori tarantolati e che fanno dei numeri e degli schemi un mantra. Sarebbe stata dura, ma lui ci sarebbe stato. Libero di sognare».

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