Il Tirreno

Prato

Il caso

Prato, una fondazione dedicata al giovane che sparò all’ex fidanzata. La sorella della vittima: «Una cosa folle»

di Paolo Nencioni

	Federico Zini ed Elisa Amato
Federico Zini ed Elisa Amato

Il Tar ha dato ragione alla famiglia di Federico Zini, che nel maggio 2018 uccise a colpi di pistola Elisa Amato. Ribaltato il rifiuto della Regione

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PRATO. Il padre di un giovane che ha ucciso l’ex fidanzata perché non accettava la fine della relazione può costituire una fondazione dedicata al figlio per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violenza di genere. Lo ha deciso il Tar della Toscana accogliendo il ricorso di Maurizio Zini, padre di Federico Zini, il venticinquenne che il 26 maggio 2018 uccise a colpi di pistola l’ex fidanzata Elisa Amato, 30 anni, di Prato, prima di togliersi la vita con la stessa arma. I corpi vennero trovati nell’auto di lei a San Miniato, dove lui viveva insieme alla famiglia.

La sentenza del Tar (estensore Davide De Grazia, presidente Silvia La Guardia) è stata deposita venerdì 9 maggio ed è abbastanza sorprendente, perché ribalta una precedente decisione della Regione Toscana che aveva negato alla fondazione che portava il nome di Federico Zini la personalità giuridica e l’iscrizione nel Registro unico degli enti del terzo settore (Runts). Una decisione, quella della Regione, arrivata anche sull’onda di una raccolta di firme promossa dagli amici di Elisa Amato che consideravano offensiva l’idea di intitolare una onlus contro il femminicidio a un femminicida.

Contro quell’idea, oltre alla Regione si schierarono praticamente all’unanimità anche i Comuni di Prato, San Miniato, Montopoli Valdarno, Montemurlo e Vaiano. L’iscrizione al Registro delle onlus fu negata e sembrava che la storia fosse finita lì. Invece la famiglia Zini ha caparbiamente insistito nel suo progetto e la cosa è passata nelle mani degli avvocati, che hanno impugnato il provvedimento della Regione e ora, alla vigilia del settimo anniversario dell’omicidio di Elisa Amato, dopo una silenziosa battaglia di fronte alla giustizia amministrativa, hanno ottenuto una prima vittoria e potranno iscrivere la fondazione al Registro. Fondazione che nel frattempo ha cambiato nome togliendo il riferimento a Federico Zini e facendo qualche altro aggiustamento formale.

«Dedicare una fondazione a un assassino mi sembra una cosa folle – commenta a caldo Elena Amato, sorella di Elisa – Ci avevano provato dopo soli tre mesi dalla morte di mia sorella e non ci erano riusciti. Ora sono passati 7 anni, ma mi fa ugualmente rabbia. Vorrei capire che tipo di messaggio vogliono far passare. Se l’idea è di non fare dell’assassino una vittima ma cercare di far qualcosa per sconfiggere la violenza sulle donne, ben venga. Ma se è solo perché un padre non riesce ancora a superare il dolore per la perdita di un figlio, allora il rischio è che passi un messaggio fuorviante, di minimizzazione di quanto è accaduto».

«Onestamente non ho nemmeno tanta voglia di fare una guerra come l’altra volta – aggiunge Elena Amato – All’epoca pensammo che fosse una reazione sbagliata a un grande dolore, ma che dopo sette anni ancora stiano lì a mettere su una fondazione dedicata a un assassino, ripeto, è una cosa folle. È incredibile che dopo sette anni non abbiano ancora capito dove sta la ragione e dove sta il torto».

Nessuno sa quali sono i motivi profondi che hanno indotto la famiglia Zini a muovere questo passo sicuramente divisivo, ma è un fatto che, come ricorda Elisa Amato, in questi anni le due famiglie non si sono parlate. Da San Miniato non è arrivata nessuna proposta di coinvolgere la famiglia Amato nella fondazione, e questo dice molto, se non tutto. 

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