Cenaia, paese sulle ali del calcio. Dal campo distrutto al sogno Serie D: «Noi il nuovo Chievo»
Duemila anime e cinque partite per la storica vittoria nel campionato di Eccellenza. Antonio apparecchia per il pranzo della squadra la domenica, Liviano pulisce i seggiolini della tribuna, Carla e Tiziana non perdono una partita degli arancioverdi. E pensare che per trent’anni qui il pallone ha smesso di vivere: tutta colpa di una maxi rissa con i rivali del Collesalvetti ai tempi in cui non esistevano tv e centri commerciali
CRESPINA LORENZANA. Comunque vada è già una favola sportiva. Certo, tutti ora vogliono il super finale, ma i romantici dello sport ameranno questa storia prima ancora di conoscere l’ultimo capitolo. C’è un paese di 2mila abitanti che sogna un’impresa senza precedenti. Dal macellaio Maurizio Favilli («Questa società – dice dietro al bancone dell’attività di famiglia che esiste da oltre mezzo secolo – ha la forza per lottare per la salvezza in Serie D») alla signora Carla, dai giovanissimi ultras “Torboneros” – nati sulle ali dell’entusiasmo di una piccola comunità diventata protagonista quasi per caso – ai ragazzi più grandi che si dicono pronti a mettere da parte la Serie A. «Se saliamo in D faccio l’abbonamento e me le guardo tutte», promette Mirko Tarabusi mentre addenta una sfoglia al circolo Arci. Accanto a lui Alessio Serrini annuisce e ribadisce: «Dopo il Chievo in Serie A, il prossimo miracolo lo facciamo noi».
Risveglio da sogno
Chi se lo scorda questo lunedì a Cenaia? Il giorno dopo la vittoria nello scontro diretto in casa dei rivali del Fratres Perignano – domenica 12 marzo - che vale il primo posto solitario nel campionato di Eccellenza a sole cinque partite dalla fine del torneo. Roba che da queste parti vale come il passaggio della stella cometa. Si vede una volta nella vita. Forse. E pensare che quasi un secolo fa – qui – qualcuno il pallone aveva provato a eliminarlo per sempre. Per spiegare bene la relazione complicata di Cenaia col calcio bisogna fare un carpiato all’indietro nel tempo.
Trent’anni di buio
«Il calcio a Cenaia finisce qui». Dalle parole ai fatti. Via il campo sportivo. Arato col trattore. Giù i pali delle porte, eliminata la recinzione. Trent’anni senza pallone. Solo ciclismo e poco altro. Siamo alla fine degli anni Trenta e in paese c’è grande fermento per il derby di Terza categoria tra il Cenaia e il Collesalvetti. Non c’è la tv, non esistono i centri commerciali. Tutti aspettano solo la domenica per andare alla partita. Ma in quella domenica la situazione degenera. Una maxi rissa coinvolge calciatori e pubblico. Volano cazzotti dappertutto. Il campo diventa terreno di battaglia. Fin quando il proprietario dell’appezzamento di terra che ospita il rettangolo di gioco mette tutti d’accordo: si presenta col trattore e spazza via tutto. A Cenaia si consuma così il funerale del calcio.
Il popolo decide
«E poi nel 1969 il calcio lo abbiamo fatto rinascere noi». Gabriele Polini oggi segue il settore giovanile della Pro Livorno Sorgenti. Vive all’ombra dei Quattro Mori ma ha passato l’infanzia a Cenaia. «Ci stavano i miei parenti, avevo tanti amici quaggiù. Ci trovavamo in campagna con i ragazzi di Collesalvetti e ci tiravamo i sassi. La rivalità è sempre stata forte tra i due paesi». Racconta l’origine della seconda vita del calcio cenaiese dalla lavanderia del campo sportivo Vittorio Pennati. È venuto a trovare l’amico Liviano Giani. Un altro degli eroi del ’69. «Vittorio Pennati era un imprenditore che si stabilì a Cenaia per fare affari nell’agricoltura. Ci regalò una fetta dei suoi possedimenti per ricostruire il campo sportivo. Tutto il paese contribuì: da chi faceva i lavori in muratura a chi si occupò del terreno di gioco. Cenaia aveva deciso di riprendersi ciò che le era stato tolto. La gente aveva fame di pallone». E nel 1969 il cuore calcistico del paese ricomincia a battere con una squadra di bimbi di paese attaccati più che mai a quella maglia che rappresenta un popolo intero. Piccolo, ma comunque un popolo. «Venivano anche 200 persone a seguirci in trasferta, a noi pareva di giocare in Serie A per il calore che ci trasmetteva la gente», ricorda Polini con un bel po’ di malinconia.
La squadra di tutti
Ma cosa ci fanno Liviano e Gabriele all’interno del Pennati di lunedì mattina? «Lui è mio amico e viene a scambiare quattro chiacchiere. Io – spiega Liviano – qui dentro ci passo parecchio tempo. Mi occupo del bar dello stadio, sistemo le maglie da gioco una volta uscite dalla lavatrice, e quando giochiamo in casa pulisco tutti seggiolini della tribuna. Seguo la squadra da una vita, anche in trasferta. Mia moglie lo sa. La domenica dalle 8 alle 17 per me c’è solo il Cenaia. Poi, quando torno a casa, lei mi aspetta già preparata e andiamo dove vuole. Ma sempre dopo la partita dei ragazzi». Le parole di Liviano raccontano un paese innamorato dei bimbi che giocano nel Cenaia. E non soltanto quest’anno che le cose vanno benissimo. «Io apparecchio la tavola della stanza in cui mangia la squadra prima delle partite, svolgo anche altri servizi di vario tipo per garantire ai giocatori il massimo della comodità. Io ci sono dentro, e posso dire che quello di questa stagione è un gruppo straordinario. Possono fare davvero qualcosa di incredibile. E poi il mister (Massimo Macelloni, ex difensore centrale con buoni trascorsi anche in C, che lavora tutto il giorno come agricoltore nei terreni vicino al campo sportivo e interrompe quando scatta l’ora dell’allenamento) è davvero bravo, oltre a essere uno di noi».
Il tifo di Carla e Tiziana
Il pallone unisce. A Cenaia più che mai. Carla e Tiziana non perdono una partita degli arancioverdi. «Il Pisa è la mia ossessione – precisa Carla Ciardi, che abita a due passi dal Pennati –, ma da quest’anno il Cenaia mi è entrato nel cuore». Tifose, ma anche trascinatrici. «A Perignano eravamo tantissimi. La gente – lancia l’appello Tiziana Pupeschi –, però, deve seguire di più questa squadra. Dobbiamo essere sempre tanti. Questi ragazzi se lo meritano, ci stanno facendo sentire orgogliosi di essere cenaiesi».