Il Tirreno

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La sentenza

Pistoia,  parà vince la causa col ministero: «Malato per colpa dell’uranio»

di Pietro Barghigiani
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Un militare del Reggimento Nembo ha contratto il linfoma di Hodgkin. Riconosciuta la causa di servizio

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PISTOIA. Le missioni all’estero in scenari di guerra. Ma anche le esercitazioni ai poligoni. Anni di esposizione a sostanze cancerogene, respirate senza alcuna protezione al punto da permettere al tumore di prendere possesso di un corpo sfiancato dalla malattia. La diagnosi dopo i malori è una sentenza: linfoma di Hodgkin in fase avanzata diagnosticato nel 2014. Un colpo da ko che ha costretto un militare, all’epoca dei fatti in forza al 183° Reggimento Paracadutisti Nembo in Pistoia, a pesantissimi cicli di chemioterapia e a due trapianti di midollo osseo. La patologia l’ha pure reso sterile.

Non c’è solo la battaglia contro la malattia nella vita del soldato, nel frattempo trasferito in un’altra caserma della Toscana con ruoli da scrivania dopo quelli dall’esito nefasto sui fronti di combattimento.

Causa di servizio

Dopo i ripetuti no del ministero della Difesa al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità “Linfoma H” per il futuro trattamento di pensione privilegiata, il militare ha ottenuto una sentenza favorevole davanti alla Corte dei conti toscana. I giudici - materia pensionistica - hanno accolto la richiesta del 40enne entrato nell’esercito come volontario in ferma prefissata. Nel tempo aveva acquisito la specializzazione di mortaista per poi essere alla caserma Nembo di Pistoia nel 2010. Da lì in poi era iniziato un calvario inconsapevole e silenzioso che solo negli anni a venire aveva manifestato i suoi effetti letali.

Le missioni

Nelle sue mansioni utilizzava solventi per la lubrificazione e la manutenzione del pezzo e veniva a contatto con le polveri residue di combustione delle cariche esplosive. Non solo. Era impegnato anche nell’attività di bonifica dei poligoni militari di Monte Romano (Viterbo), Foce sul Reno (Ravenna) e Capo Teulada (Cagliari) senza utilizzare alcun dispositivo di protezione individuale. Ci sono poi le missioni all’estero. Due volte in Afghanistan, sempre con funzioni di mortaista e fuciliere: dal 3 marzo al 22 settembre 2011 nel distaccamento di Bala Murghab e dal 5 settembre 2013 al 19 gennaio 2014 nella base di Shindand. In occasione della prima missione in Afghanistan il parà «si occupava della lubrificazione e manutenzione quotidiana del mortaio e del fucile utilizzando solventi contenuti in contenitori di plastica non etichettati e facendo uso del mortaio per circa 20 volte nel corso di conflitti a fuoco».

Durante la seconda missione, oltre all’utilizzo quotidiano di sostanze solventi per la lubrificazione e la pulizia delle armi, al militare «veniva affidato l’ulteriore incarico di mitragliere di bordo, per cui respirava appieno i fumi di scarico delle vetture militari che precedevano, nonché l’aria del luogo, spesso inquinata dal fumo di mezzi militari e civili incendiati». I primi malesseri compaiono quando è ancora in Afghanistan tra il 2013 e il 2014. Sintomi anche visivi come tumefazione al collo o i continui aumenti della temperatura corporea. Ricoverato a Herat e rimpatriato nel gennaio 2014, viene portato al reparto di malattie infettive del Policlinico Militare “Celio” in Roma dove i medici gli diagnosticano il linfoma di Hodgkin.

Il no del ministero

La domanda di riconoscimento della dipendenza della patologia da causa di servizio (con contestuale richiesta di equo indennizzo), presentata nel giugno 2014, venne respinta dal ministero della Difesa, con la motivazione che «non risultano oggettivamente documentate esposizioni a fattori cancerogeni per la neoplasia in esame e ciò si associa a dati epidemiologici che non indicano un aumento dell’incidenza di patologie oncologiche nei militari adibiti alle mansioni dell'interessato e/o impiegati nelle missioni all’estero».

Le consulenze

I giudici non hanno ritenuto necessario nominare consulenti propri. Sono stati sufficienti quelle di parte a convincerli che il militare si era ammalato di tumore stando a contatto con armi e munizioni dello Stato italiano.

Il consulente conclude la sua relazione scrivendo che la causa determinane della malattia è stata «con molta probabilità lo “stretto contatto” con “una o più sostanze cancerogene (uranio impoverito, benzene, 1-3 butadiene e torio)».

Il silenzio del ministero

La Corte dei conti sottolinea le mancate risposte del ministero sulla composizione chimica dei solventi e di altre sostanze usate per la pulizia delle armi, «nonché l’esatta tipologia delle armi e munizioni utilizzate dal militare – durante le esercitazioni nella sua qualità di mortaista nei principali poligoni militari in Italia, così come quelle in uso – anche da parte degli altri contingenti della Nato – in Afghanistan». E, quindi, «l’accertamento ai fini del presente giudizio può essere basato anche sulle presunzioni, gravi precise e concordanti, nonché sulla notorietà dell’inquinamento dell’aria da esplosioni e da combustione durante gli incendi dei mezzi colpiti in occasione delle operazioni militari nelle zone di un crudele conflitto militare in corso da decenni».l


 

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