Solo Mussolini e un incendio arrivarono a decretare lo stop per La Capannina
Il castelfranchese Gherardo Guidi, patron dello storico locale della Versilia, meta negli anni di decine di artisti famosi, è stato tra i primi ad adeguarsi alle raccomandazioni e ad annullare gli eventi in programma e a tirar giù la saracinesca
l’intervista
Da Benito Mussolini al coronavirus. Dal lontano 1942 a questo anno bisesto, decisamente funesto. La Capannina di Forte dei Marmi ha ufficialmente sospeso l’attività per l’emergenza sanitaria. L’ultima volta che le luci si erano spente il Duce aveva firmato di suo pugno l’ordinanza di chiusura. Come raccontato da Aldo Valleroni nel suo libro “Versilia anni ruggenti”, a La Capannina, chiusa solo una volta prima di allora nei suoi 91 anni di storia per un incendio che nel 1939 la distrusse completamente, succedeva di tutto. Feste da ballo che andavano avanti anche per un giorno e mezzo, decine di bottiglie di champagne consumate, personaggi boccacceschi che si alternavano in quelle notti in cui l’Italia precipitava nel buio della guerra. Voci e racconti che arrivarono a Roma e portarono alla chiusura ordinata da Mussolini dopo un controllo a sorpresa. Solo la guerra aveva fermato la musica e le serate danzanti. Ora, con l’Italia che si ferma per combattere il Covid-19, anche Gherardo Guidi, il patron castelfranchese de La Capannina di Franceschi, ha deciso di sospendere tutti gli eventi e tirare giù la saracinesca: dal 1929 solo un incendio, una guerra e il coronavirus sono costati lo stop al luogo dove si sono esibiti una miriadi di artisti.
Ricorda di aver vissuto mai una situazione simile?
«No, come penso nessuno. E per nessuno intendo anche chi ha vissuto la guerra. Personalmente ho iniziato alla Sirenetta. Il locale da ballo che presi da mio padre nel 1960, dopo il servizio di leva. Amavo già la musica e lui, credo, non volesse farmi allontanare da Castelfranco di Sotto. Dove ero nato e cresciuto. Poi, nel 1977, dopo aver gestito vari locali, con mio moglie Carla, ho acquisito la proprietà de La Capannina di Franceschi. E personalmente non ho mai dovuto chiudere».
Il virus è catastrofico come un incendio e la guerra?
«Probabilmente è peggio. Nel 1939 il locale fece semplicemente “puf” per un incendio. Non c’era più, ma fu ricostruito in 62 giorni. La guerra, poi, era la guerra. Ora la situazione è diversa, ma non possiamo permetterci di rischiare. Io sono a casa con la tosse e mi sono chiuso tra le mura domestiche».
Ma nella sua gestione è mai arrivato vicino a una chiusura come questa?
«Abbiamo superato di tutto senza mai chiudere. Se lo ricorda il 1957? No? Glielo dico io. L’asiatica provocò almeno un milione di morti nel mondo. Ma La Capannina restò aperta. Ora non se ne parla per niente, ma la nostra generazione (Guidi è un classe 1940, ndr) se la ricorda bene. Sotto la mia gestione le notti non si sono fermate neppure negli anni dell’austerity e dell’epidemia di Sars».
Condivide le scelte del governo di chiudere, praticamente, tutta l’Italia?
«Bisogna stare calmi e a casa. Aspettare questa “cura” e imparare ad ascoltare. Lo so, è dura, ma non c’è alternativa. Dobbiamo riuscirci tutti insieme. Capisco che ci siano situazioni di grave disagio, e quella del mio locale forse è l’ultima della quale preoccuparsi, ma se due fidanzati per un po’ non si potranno vedere devono capire. Ci sono cose più importanti, della musica e di tutto il resto. Presto ripartiremo».
L’economia di molti settori, però, può subire un colpo pesantissimo in questo periodo.
«Mi ha chiamato ieri un amico di Viareggio. Mi ha detto che la città praticamente è stata sigillata, tutti i ristoranti hanno chiuso. E l’economia della città, così come della Versilia e più in generale del nostro Paese, si basa sul turismo e l’indotto che ne deriva. Ora, però, non è il momento di pensarci. Noi a La Capannina avevamo anche gli spazi necessari per restare aperti, ma non era il caso di creare nessun evento, sarebbe stato quasi surreale. Per me e per le tante famiglie che ci lavorano è un grandissimo sacrificio».
Le istituzioni pensa aiuteranno aziende e lavoratori in difficoltà?
«Penso che, come molto spesso accade, dovremmo gestire la situazione senza alcun supporto delle istituzioni. Ma dal canto nostro non possiamo giocare con la salute, quando riapriremo ci sarà da rimboccarsi le maniche e lavorare a testa bassa».
In questo momento sta pensando a come ripartire?
«Difficile vedere oltre questo periodo. Tutti ora gridano “al ladro al ladro” ma credo il ladro abbia già rubato. Io voglio bene ai miei dipendenti e cercherò di tutelarli, ma come ho già detto ci aspetta un periodo di sofferenza. La Capannina, però, ha una lunga storia. E supererà anche questa paura. Perché dopo la paura viene sempre il giorno, qualcosa di bello. Ci risolleveremo anche da questo momento».
Siete stati tra i primi a decidere di chiudere, ben prima dell’imposizione del governo.
«Due settimane fa abbiamo iniziato, poi tutti ci sono venuti dietro. Lo abbiamo fatto per primi, perché è qualcosa di necessario per il bene comune. Poi lo abbiamo ufficializzato qualche giorno dopo. Serve il buonsenso e credo che questo buonsenso non sia sempre di casa nel nostro Paese. Al di là delle imposizione della legge, un atto di responsabilità da parte nostra era necessario».
Quanto è importante in questo momento pensare a quando torneremo a incontrarci, abbracciarci e ballare?
«Una situazione come questa ci farà sicuramente apprezzare le piccole cose, i piccoli piaceri della vita. Ci farà riappropriare di un tempo che finalmente non scorre sempre veloce. E magari ci farà apprezzare nuovamente luoghi di ritrovo come La Capannina, dove lasciare all’ingresso i problemi e lo stress».
Dopo la guerra c’era voglia di tornare alla vita. Succederà anche con il coronavirus?
«Non bisogna confondere le due cose. Ma mi auguro che lo spirito della gente sarà lo stesso».
Quando la ritroveremo al suo locale?
«Ci ritroveremo presto. È una promessa. Laralì, laralà (dice canticchiando, ndr)». —
Alessandro Bientinesi
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