Il Tirreno

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Piombino, la bottega “Il Fratino” compie 72 anni: Franco Donati e la vita dietro al banco

di Cecilia Cecchi

	Franco Donati nel suo negozio
Franco Donati nel suo negozio

Biancheria, tessuti, abbigliamento, ecco la storia di una famiglia di commercianti tra le due guerre mondiali: «Babbo Orlando aveva sempre grandi idee che molti copiavano, per vent’anni abbiamo venduto cappelli al porto»

15 aprile 2024
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PIOMBINO. «Credo di essere l’ultimo in città a portare avanti il negozio sin da quando lo abbiamo aperto insieme ai miei genitori». Dice Franco Donati, 88 anni, dalla soglia de “Il Fratino” in via Giordano Bruno 11. Bottega di biancheria per famiglia, tessuti, abbigliamento, articoli vari per lavori femminili, più un’infinità di memorie di città.

«La mamma Pietrina Rabacchi – prosegue Franco – ha aperto questa rivendita nel 1952, aveva 44 anni. Ormai 16enne potevo darle una mano. L’abbiamo chiamato “Il Fratino” che è sempre stato il soprannome del mio babbo Orlando». I ricordi di Franco si legano a quelli di Piombino e a quelli di una gran parte di italiani tra prima e seconda guerra mondiale: «Mio nonno militare al fronte nel ’15-18 – spiega – con la famiglia a Sassetta. Nonna, sola con cinque figli, aveva chiesto aiuto al parroco perché non sapeva come dar da mangiare a tutti. Babbo Orlando unico ad aver fatto la terza a scuola venne “scelto” per andare in seminario in provincia di Firenze. Qui aveva continuato la formazione, con l’obiettivo di andare in America e quando gli dissero che era necessario sapere l’inglese per poter insegnare laggiù aveva pure cominciato ad impararlo. Ma a un certo punto – aggiunge – tornò a casa. Sassetta a parte il bosco offriva poco. E Orlando si trasferì dalla zia che abitava al Castello di Piombino. Di idee ne ha sempre avute un’infinità: appena arrivato, “attrezzando” una bicicletta con due cassette una davanti e una dietro aveva cominciato a girare per la campagna fino a Follonica. Faceva piccoli lavori, scambiava rocchetti di filo, nastri, sigarette con polli e uova. Le cose andavano così bene, che si procurò un cavallo e un barroccio ampliando l’offerta con stoffe di velluto e di Fossati uniche allora utilizzate per gli abiti da lavoro, per le tute da operaio; tessuti che andavano alla grande in campagna. Così fino alla seconda guerra mondiale quando fu costretto a rivendere il cavallo».

«Tornati in città, nel dopoguerra – prosegue Franco – babbo sempre commerciante faceva l’ambulante e mise il banco con abbigliamento e un po’ di tutto, tipo la lana d’acciaio in rotoli... indimenticabile. I banchi? Davanti al mercato con Montecchi, Nunes, Radio. Poi ne vennero altri tanto che ci trasferirono in via Leonardo da Vinci fino su in Cittadella». «Il primo negozio? – sottolinea – in via Andrea Costa nel fondo di Baldasserini sotto il Supercinema. C’eravamo noi con la biancheria, Papi per la frutta e verdura e il macellaio, il nonno del sindaco Ferrari. Dopo poco tempo si è reso disponibile questo spazio in via Giordano Bruno dove siamo sempre stati in affitto. In contemporanea insieme al babbo facevamo altro: al porto c’erano due corse il giorno alle 7,30 e alle 9 per una ventina d’anni abbiamo venduto cappelli tra chi sostava sul molo. Ci hanno copiato in tanti. Poi lo zucchero filato sull’angolo di piazza Verdi regalando palloncino. Babbo faceva più per gli altri che per sé: i giorni che non lavorava da solo , quando divideva, lasciava che altri spartissero soldi mentre lui portava a casa avanzi di caramelle». La vita qui. «Dopo la pandemia non è stato semplice – conferma –. E ancora persone in giro ce ne sono poche, rispetto a com’era Piombino. Ma poi arriva la persona che cerca qualcosa di particolare, che trova tra i miei scaffali: c’è ancora chi ha bisogno di un contatto umano che i centri commerciali non possono garantire. Io ci sono!».


 

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