Il mito Sinner sbocciato all’Elba, l’allenatore “estivo” del fenomeno: «Quel talento che si intravedeva già da bambino»
Per anni il campione si è allenato al Tennis Camp delle Ripalte
CAPOLIVERI. Quel ragazzino dai capelli color carota non voleva proprio saperne di separarsi dalla racchetta. Pelle e ossa, lentiggini e un talento ancora tutto da formare.
Jannik Sinner era pallido, forse un po’ spaesato quando, in un mese di luglio di quasi dieci anni fa, arrivò per la prima volta sui campi bruciati dal sole della Costa dei Gabbiani di Capoliveri. «Questo bimbo ci sa fare, dagli un’occhiata». Il messaggio era diretto a Riccardo Piatti, allenatore di tennis e forgiatore di talenti di livello mondiale. Lui, ogni estate, lavora con i tanti baby prodigi della racchetta al Tennis Camp Isola d’Elba, il circolo diretto da Filippo Bersani.
La scintilla elbana
Ecco, sarà un modo per provare a salire sul carro del trionfatore dell’Australian Open, potrebbe pensare qualcuno: ora si dirà che la storia di Sinner è nata all’Elba. «Guardi, è andata proprio in questo modo», racconta Filippo Bersani, direttore del Tennis Camp. Uno che ha visto Jannik arrivare a Capoliveri quando aveva 13 anni e lo ha salutato per l’ultima volta a 19 anni, quando era il numero 70 al mondo e aveva un futuro da campione scritto nel copione della sua vita. «Fu Sartori, l’allora coach di Andreas Seppi a segnalare Jannik dopo averlo visto giocare in un circolo del Trentino. Chiamò Riccardo (Piatti ndr) e gli disse che il ragazzino ci sapeva fare, andava valutato. Solo che Piatti si trovava a Capoliveri. “Mandamelo qua due settimane”. Ci mise poco per capire che Sinner aveva delle doti uniche».
È per questo che in tanti, all’Elba, si sono emozionati nel vedere il tennista resistere ai colpi tremendi di Medvedev nella finale dell’Open di Australia. Da 0-2 a 3-2. Dall’orlo del precipizio al trionfo. In un crescendo rossiniano scandito da dritti potenti e rovesci penetranti come lama nel burro. «Beh, direi che non era iniziata proprio bene – racconta Bersani – ma so come ha fatto a vincere. Ci è riuscito perché ha messo in campo una volontà di ferro. La stessa caratteristica che aveva mostrato subito».
Volontà e determinazione
Dopo averlo allenato per due settimane Riccardo Piatti, uno che il talento lo riconosce e sa forgiarlo come un demiurgo, si rese conto delle qualità uniche di quel timido altoatesino. «Gli chiese “Cosa vuoi fare della tua vita?” E lui, secco: “Voglio fare il tennista professionista” – svela Bersani – Così lo convinse a parlare con i genitori per farlo trasferire a Bordighera, dove avrebbe lavorato per diventare un giocatore vero. Riccardo Piatti ha fatto anche di più: lo ha preso sotto la sua ala e lo ha sponsorizzato per cinque anni, ha scommesso davvero sul suo talento». Da qualche anno i percorsi professionali di Sinner e del maestro Riccardo Piatti si sono separati, ora Jannik lavora con i coach Vagnozzi e Cahill. «Quando prendi in mano un diamante, basta spazzolarlo bene e tagliarlo nel modo migliore possibile – commenta Filippo Bersani – ma se Sinner è diventato un campione è per il lavoro fatto con Piatti che lo ha formato, creando le basi per il successo di oggi». Ma com’era il campione dell’Australian Open quando sudava sui campi da tennis della Costa dei Gabbiani? «Veniva sempre sull’isola con il fisioterapista Claudio Zinaglia e con il preparatore atletico Dalibor Sirola, che adesso fa parte dello staff di Zverev. Sono state due colonne per la crescita di Jannik – racconta ancora Bersani – lui lavorava molto, noi lo facevamo stare con i ragazzi, spesso li portavamo al mare e uscivamo sull’isola». Un aneddoto? «Una volta portammo Sinner e un’altra decina di ragazzi sulla pista di go-kart a Marina di Campo – racconta divertito il direttore del Tennis Camp – non c’era storia. Voleva restare in testa al gruppo a tutti i costi. Pur di non farsi sorpassare si metteva di traverso. Si capiva che quello spirito competitivo lo avrebbe portato lontano». Insomma, all’Elba piace immaginare che il salmastro e la durezza della magnetite di Monte Calamita abbiano contribuito a rendere Sinner il fenomeno che oggi tutti ammirano. «La prima estate con Jannik, aveva 13 anni, lo portai al mio stage all’Isola d’Elba. Bambino di montagna che sapeva a malapena nuotare, al primo tentativo di tuffo dagli scogli fece subito un salto mortale e tutti gli chiesero come ci era riuscito – raccontò Riccardo Piatti in un’intervista rilasciata al Corriere due anni fa – Rispose che quando era in aria aveva pensato di fare due capriole consecutive, così almeno una l’avrebbe fatta per forza. Aveva già la testa del vero sportivo». Forse ora è tutto più chiaro: figuriamoci se due set persi in finale possono spaventare uno così.