Il Tirreno

Inquinamento e veleni apuani proiettati alla Mostra del Cinema a Venezia

La nube tossica sprigionatasi dalla Farmoplant nel luglio 1988
La nube tossica sprigionatasi dalla Farmoplant nel luglio 1988

È il documentario “Morte-Dison” di Franco Bigini, per ora è un corto che aspira a diventare un lungometraggio

02 settembre 2019
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MASSA. Il cinema di denuncia sembra interessarsi sempre di più ai problemi ambientali del nostro territorio. Dopo “Antropocene”, film girato in 20 Paesi, 43 luoghi diversi e 6 continenti, in cui si parla dei disastri della Terra dovuti all’azione distruttiva dell’uomo con l’inserimento (e strascichi polemici) delle cave di Carrara, sbarca adesso alla Mostra del cinema di Venezia un nuovo documentario dedicato alla vicenda della Montedison/Farmoplant di Massa e all’inquinamento chimico residuo del Sin/Sir apuano, dal titolo assai emblematico: “Morte-Dison”.. Il progetto del film, girato dal giovane cineoperatore massese Franco Bigini del cineclub Phoenix Cinematografica, sarà presentato il 5 settembre al Festival di Venezia. In quell’occasione Bigini proietterà un trailer del film lungo circa 3 minuti insieme ad altri corti realizzati da 7 registi, selezionati da tutta la penisola dalla Federazione italiana dei cineclub (Fedic) per partecipare alla sezione cortometraggi dalla prestigiosa Mostra della Laguna.

Del resto, l’ultimo aggiornamento dello studio epidemiologico nazionale Sentieri, coordinato dall’Istituto superiore di sanità, parla chiaro: a Massa-Carrara sono confermati eccessi di mortalità e di ricoveri ospedalieri per malattie tumorali e non tumorali e segnali di criticità per le malformazioni congenite, spesso riconducibili all’inquinamento chimico residuo della zona industriale. Le recenti analisi sulla falda Sin/Sir, inoltre, confermano una situazione di grave contaminazione che richiede interventi urgenti, anche se le bonifiche, partite troppo in ritardo, sono ancora ferme al palo, nonostante sia disponibile un finanziamento totale di oltre 25 milioni di euro.

Bigini, che lo scorso 27 gennaio si è già aggiudicato con questo trailer la menzione speciale della giuria alla seconda edizione del premio Fedic di Ferrara dedicato al film corto, queste cose le sa bene. Ad ispirargli “Morte-Dison”, infatti, è stato il film “Erin Brockovich” (2000), interpretato da Julia Roberts, che racconta la storia vera di una giovane madre in lotta contro una grossa industria che con i suoi scarichi ha inquinato le falde di una cittadina americana, provocando malattia e morte tra gli abitanti. «Allo stesso modo -osserva il filmaker- le industrie apuane della chimica hanno avvelenato il nostro territorio ed ancora oggi uccidono la popolazione ed inquinano falde, corsi d’acqua e terreni. Il mio progetto -racconta- è denunciare queste problematiche ambientali e vado a Venezia con l’obiettivo di ampliare il progetto del documentario, da cortometraggio a lungometraggio di inchiesta».

Ciò potrà essere realizzato in due modi. «La prima ipotesi -spiega Bigini- risulta più lunga in termini temporali ed economicamente sostenibile dal nostro cineclub, con congruo finanziamento. La seconda, invece, è legata ad un accordo di collaborazione con un produttore, che finanzi ed organizzi il progetto del film».

Già in questi primi tre minuti di girato, comunque, accompagnati dalle splendide musiche di Renato Bartolucci, la drammaticità della situazione apuana emerge chiaramente, attraverso foto d’epoca, interviste, articoli di giornale e didascalie che riportano informazioni storiche. Il regista, infatti, aprendo la sua inchiesta con un’immagine dello stabilimento Azoto nel 1945, ripercorre la vicenda della Montedison/Farmoplant, ricordando che nella fabbrica chimica, dal 1976 al 1991, anno della sua chiusura definitiva, si verificarono ben 42 incidenti, due dei quali mortali. In “Morte-Dison” sono anche intervistati il collaboratore del Tirreno David Chiappuella e l’ex dipendente Montedison Franco Freni. Il primo ricorda l’incendio sviluppatosi per autocombustione il 17 agosto 1980 nel magazzino in cui la Farmoplant aveva stoccato circa 300 tonnellate del pesticida Mancozeb. «Questo incidente, -spiega Chiappuella- spia di quello che sarebbe avvenuto otto anni dopo con l’esplosione dell’impianto del pesticida Rogor, provocò un’enorme nube tossica». Freni, invece, ricorda che, nonostante fossero state fornite agli operai delle tute isolanti, la tremenda puzza delle sostanze altamente tossiche maneggiate in fabbrica rimaneva loro addosso anche dopo aver fatto diverse docce. «L’odore del veleno -ricorda l’ex dipendente- ti restava sulla pelle e nei capelli».

Franco Ceccarelli del coordinamento di Forza Italia Massa mostra invece la grave situazione di inquinamento persistente al Lavello, fosso che all’epoca del polo chimico fu oggetto di sversamenti di sostanze tossiche da parte di Farmoplant, Rumianca ed Italiana Coke. —

 

 

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