Cava Padulello-Biagi «Il risarcimento spetta a Comune e cittadini»
MASSA. I titolari di cava Padulello- Biagi ricorrono al Tar contro il Comune che nel 2012 (ai tempi dell’amministrazione Pucci) concede l’escavazione, ma fissando un limite temporale. La giustizia...
MASSA. I titolari di cava Padulello- Biagi ricorrono al Tar contro il Comune che nel 2012 (ai tempi dell’amministrazione Pucci) concede l’escavazione, ma fissando un limite temporale. La giustizia amministrativa dà ragione agli imprenditori: il limite temporale non è legittimo. Così i titolari chiedono i danni. Ed è su quella richiesta che intervengono Franca Leverotti ed Elia Pegollo secondo i quali ad essere risarciti dovrebbero essere i cittadini: «Sorprende leggere - scrivono - la richiesta di danni relativa alla cava Padulello-Biagi che l’amministrazione Pucci non ha avuto la volontà di chiudere. Una cava di grande impatto visivo, in collegamento diretto con le sorgenti del Frigido a Forno, di cui il Pit (piano di indirizzo territoriale) prevede la chiusura. Le criticità della cava sono ben espresse nelle prescrizioni presenti della determina dirigenziale del 2012... Il Comune aveva allora la possibilità di fermare quella cava, ne aveva il dovere morale».
Leverotti e Pegollo ripercorrono la storia della cava dall’apertura nel 1994 e definiscono quella storia «intrisa di violazioni, debitamente citate nelle autorizzazioni del Parco». Secondo i due ambientalisti nello stesso anno dell’apertura sarebbe arrivata la prima multa per «sverso di marmettola», quindi «nel 1998 il mancato parere favorevole del Parco in quanto, sia il progetto di coltivazione, sia le integrazioni richieste, non risultavano conformi alle prescrizioni. Il Parco esprimeva parere contrario ai fini dell’autorizzazione per il vincolo paesaggistico, oggi nelle mani del Comune...Una nuova richiesta di coltivazione nel 2000 - continuano i due ambientalisti - non ebbe esito positivo per il diniego legato al vincolo paesaggistico e per la valutazione negativa della compatibilità ambientale. Ma il Comune - ribadiscono - nonostante i problemi ambientali e paesaggistici, nel 2004 l’ autorizzava per 5 anni». La cava - continuano - sarebbe rimasta chiusa e «avrebbe poi presentato richiesta per un piano di ripristino volto a sanare gli abusi... Nell’aprile 2011 arriva l’autorizzazione ad un “ripristino ambientale per le opere eseguite in difformità”, in cui venivano “vietati lavori di escavazione ai monti”». Leverotti e Pegollo citano poi gli atti della Soprintendenza di Lucca: «Quantifica il materiale estratto abusivamente e per il quale dubitiamo sia stata pagata la tassa marmi: quanto dovrebbe chiedere di danni il Comune?». Insomma, per i due ambientalisti a pagare il danno dovrebbe essere la ditta al Comune e non vicerversa. E sul tema occupazionale: «L’ultimo piano estrattivo prevede l’impiego a tempo pieno di 6-8 addetti, incrementabili, se fosse stata autorizzata la vicina cava all’aperto Biagi e per la quale la Soprintendenza ha detto no. Da un report del 2015 gli operai erano solo due (di cui uno licenziato nello stesso anno), ma la ditta ha ottenuto, in cambio della Biagi, l’autorizzazione a scavare in galleria 14.000 metri cubi in più: dunque gli addetti devono per forza essere cresciuti. Oggi ci chiediamo quanti dei 6-8 addetti previsti lavorano alla cava, che orari fanno, perchè lavorano anche il sabato e la domenica».