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La polemica

Beatrice Venezi e l’Inno a Roma di Puccini: chiude il concerto di Lucca con il brano diventato la sigla del fascismo

di Ilaria Bonuccelli
Beatrice Venezi e l’Inno a Roma di Puccini: chiude il concerto di Lucca con il brano diventato la sigla del fascismo

Sul palco del Summer festival, la direttrice d’orchestra fa suonare uno dei brani più ascoltati delle raccolte fasciste di canzonette: «Mi hanno chiesto di non eseguirlo, ma non accetto censure». Il video

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LUCCA. La sera dell’11 luglio 2023 Beatrice Venezi arriva sul palco del Summer festival bella, algida. Un cigno nero, inarrivabile. Nella mano destra la bacchetta per dirigere il concerto che apre le celebrazioni per il centenario della morte di Puccini, novembre 2024. Gli attacchi contro “il direttore d’orchestra” neo-fascista che la Francia non vuole a dirigere opere (Limoges) e concerti (Nizza) sembrano passato remoto, invece che polemiche di 24 ore prima. Lei sorride e affonda la bacchetta come uno spadino aria dopo aria, intermezzo, dopo intermezzo. La vendetta arriva alla fine. Dopo le 23. Dopo il “Nessun dorma”, il “Vincerò” della Turandot. Un colpo di teatro a effetto. «Abbiamo ancora un brano per voi. Mi volevano censurare. Io non mi faccio censurare da nessuno». Risale sul podio, strizza l’occhio all’orchestra del teatro Carlo Felice di Genova e attacca “Inno a Roma” di Giacomo Puccini. Uno dei brani più ascoltati delle raccolte fasciste di canzonette. Soprattutto l’inno di apertura dei comizi di Giorgio Almirante, l’uomo simbolo del Movimento sociale italiano (Msi), erede ideologico del disciolto partito fascista in epoca repubblicana.

Di sicuro, Giacomo Puccini, quando compone questa musica non ha intenzione di mettere a disposizione un inno al fascismo. L’inno nasce nel 1918 per celebrare la fine della Grande guerra: le parole sono di Fausto Salvatori, come sapientemente ricorda Beatrice Venezi dal palco, pronta a godersi la sua rispostaccia (senza repliche) ai francesi e ai detrattori. Quando viene presentato nel 1919, non c’è ancora Mussolini al potere. Non solo. Salvatori - questa è storia - scrive il testo inspirandosi al “Carmen saeculare" del poeta Orazio, un inno corale sacro al destino eterno ed egemonico di Roma. In più - secondo quanto narrano le cronache dell’epoca - Puccini scrive la musica di malavoglia (in 4 giorni) su richiesta espressa del sindaco di Roma, Prospero Colonna.
Comunque l’inno ottiene un grande successo. E Mussolini, una volta al potere, se ne impossessa (culturalmente parlando). Viene suonato alle manifestazioni ufficiali del partito e figura, appunto, nelle raccolte di “Canzoni del fascismo”. Perciò nel Dopoguerra (II guerra mondiale) diventa l’introduzione dei comizi di Almirante.

Beatrice Venezi non può ignorare questa storia dell’inno pucciniano. E non la ignora. Neppure quando dal palco di piazza Napoleone attribuisce ad altri (non precisati) il fatto di aver «ideologizzato, politicizzato il brano» che poi finisce «boicottato, anche se non c’è niente che rimandi ad alcuna ideologia politica. E che anche stasera rischiava di essere boicottato, perché mi è stato chiesto di non eseguirlo. Quindi rischiava di non essere eseguito anche questa sera, ma io non posso accettare censure e credo che neanche Puccini (e qui scatta un applauso dalla platea) e spero che l’esecuzione di questo brano sia un invito e anche il centenario pucciniano possa essere un’occasione per riconciliare, perché il popolo italiano si riconcili con la propria memoria storica e che soprattutto l’arte, la cultura tornino al centro, al di là di qualunque pregiudizio politico, di parte».

Invitare alla riconciliazione il popolo italiano con un brano che, al di là dell’intento di Puccini, è stato patrimonio della destra fascista (non liberale) appare offensivo. Venezi non può ignorare che perfino un suo concittadino, Andrea Colombini, organizzatore di festival, eventi e concerti pucciniani, a dicembre del 2020 ha diretto l’Inno a Roma per celebrare la nascita del Msi. Ma se anche ignorasse questo momento, non può essere sfuggito il diluvio di critiche precipitato su Andrea Bocelli quando chiuse il concerto all’Olimpico con questo brano. Era il settembre 2017 e alla Camera veniva approvata la legge Fiano per punire chi inneggiava al fascismo anche solo riproducendo gesti, immagini, iconografia varia.

Infine, non può essere sfuggito al direttore Venezi (e neanche agli altri) che al concerto di apertura delle celebrazioni pucciniane non c’era nessuno di Viareggio, il comune dove il maestro lucchese visse e compose più a lungo, e nemmeno della Fondazione Festival Pucciniano («Eravamo tutti alla prova di Assieme»). E neppure dei grandi studiosi che attraverso la Fondazione Puccini di Lucca stanno restituendo ogni giorno il maestro al mondo. Forse, ha scelto l’inno sbagliato. Venerdì sera era un concerto, non un raduno.

Il TESTO DELL’INNO

Roma divina, a te sul Campidoglio
Dove eterno verdeggia il sacro alloro
A te, nostra fortezza e nostro orgoglio
Ascende il coro
Salve, Dea Roma! Ti sfavilla in fronte
Il sol che nasce sulla nuova storia
Fulgida in arme, all'ultimo orizzonte
Sta la vittoria
Sole che sorgi libero e giocondo
Sul Colle nostro i tuoi cavalli doma
Tu non vedrai nessuna cosa al mondo
Maggior di Roma, maggior di Roma
Sole che sorgi libero e giocondo
Sul Colle nostro i tuoi cavalli doma
Tu non vedrai nessuna cosa al mondo
Maggior di Roma, maggior di Roma

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