Il Tirreno

Livorno

Christian, l’infinito del verbo segnare «Smettere? E perché?»

di Fabrizio Pucci
Christian, l’infinito del verbo segnare «Smettere? E perché?»

43 anni, ventotto stagioni in campo, ora va a Rosignano «Livorno nel cuore, qui ho tutto. Finché mi diverto, gioco»

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LIVORNO. Mi chiamano e io vado. Che cosa dovrei fare? Stare a casa?». Tutto vero, comprensibile. Anche logico se non fosse che le telefonate sul cellulare di Christian Scalzo - 43 anni - arrivano non per proporgli una panchina o un incarico da dirigente, ma un posto in mezzo al campo dove continua a fare la differenza con giocatori che potrebbero essere suoi figli. Prossima tappa: Rosignano. Le sue scarpette e il famigerato chiodo a cui appenderle non si sono ancora conosciuti. Christian è ancora in pista. «Mi ha voluto l'allenatore Di Rocca che ho avuto l'anno scorso al Castelbadie Pontino. Siamo retrocessi ai playout, ma la mia è stata comunque una stagione positiva con 11 reti. Così il mister mi ha cercato e abbiamo subito trovato l'accordo. Avevo una richiesta prestigiosa – vista la mia età – dal Forcoli, che milita in Eccellenza. Ho ringraziato il dg Corradetti, ma il Rosignano si era mosso in anticipo».

Seregno, una vita fa. Quella che sta per iniziare è la stagione agonistica numero 28. Una longevità calcistica che ha pochi eguali. Vengono in mente i portieri Ballotta e Pierobon che sono rimasti tra i pali oltre i 45 anni, ma per tutto acquisisce uno spessore diverso per un giocatore di movimento. E che movimento. Scalzo non si è mai risparmiato. Velocità, fiuto del gol e ora pure esperienza: «Sto bene e continuo a segnare. Perché dovrei smettere?». Per esempio perché il primo campionato lo ha disputato nel 1987: «Mamma mia quando tempo è passato – dice sorridendo – avevo appena 15 anni. Debuttai in D con il Seregno. Dodici presenze e un gol». E poi altre 27 tappe che neanche al Giro d'Italia: «Sì, Pavia, poi la Primavera del Torino, di nuovo Pavia, Livorno, Lucca, ancora Livorno, l'Alzano in B, il Genoa, Siena, Spezia, Casale, Pro Vercelli e poi l'ingresso nel mondo dei dilettanti con alcuni campionati vinti». E i gol. Tanti gol: «Il più bello? Nel 2003. Siena-Ascoli 4-1. Cross di Radice dalla tre quarti e gran botta al volo con palla nel sette dalla parte opposta. E nel '96 Triestina-Livorno 2-3: una fantastica mezza rovesciata».

Top e flop. In quasi trent'anni Scalzo ha vissuto mille sensazioni. Momenti duri e periodi di felicità incontenibile. Attimi in cui si era trovato in cima alla montagna per poi rotolare a valle e risalire sempre in bilico tra la gioia e il rischio di dilapidare un talento sconfinato: «Di errori ne ho commessi, ma chi non me fa? Non si smette mai di imparare. Il resto è tutta esperienza. Pezzo dopo pezzo sono diventato quello che sono adesso. L'età decisiva ? 28 anni». Va a ruota libera sul filo dei ricordi, Scalzo: «La delusione maggiore? Quando mister Papadopulo e il ds Nelso Ricci non mi confermarono al Siena a cui avevo dato il mio contributo per la salvezza in B l'anno prima con il gol decisivo in casa della Samp e per promozione in A. Avevo 31 anni. Non ho potuto coronare il sogno di giocare a San Siro. Il resto – vittorie, sconfitte, espulsioni, gol segnati e sbagliati sono tutta esperienza.. Il periodo più bello, invece è stato quello di Livorno, ma qui vicende calcistiche e personali si intrecciano: «Se non fossi venuto qui non avrei conosciuto mia moglie Letizia e non ci sarebbe mia figlia Giulia».

Paolo e Beppe. Sono due gli allenatori nei cui confronti nutre riconoscenza: «Stringara e Papadopulo – dice l'inossidabile attaccante – sono i tecnici a cui devo di più. Paolo è il più preparato che ho avuto sul piano tattico e della cultura del lavoro, mentre Beppe mi ha insegnato tutto quanto a determinazione e carattere. Sono stati assai preziosi per la mia crescita di calciatore di uomo»

Il futuro. Prima o poi, però anche lui dovrà dire basta: «Sì, ma intanto gioco per questa stagione e se sto bene anche per quella successiva. Da due anni e mezzo la famiglia Fremura mi ha dato in gestione un'azienda che si occupa di trasporto di liquidi con mezzi alternativi alle classiche cisterne. Insomma, il domani non mi fa paura. Sono orgoglioso perché grazie al calcio sono diventato un uomo maturo in grado di gestire il lavoro di tante persone. Sì, il calcio ha davvero insegnato come stare al mondo e dopo aver smesso da allenatore o da dirigente, conto di restarci. A tal proposito sento già in giro qualche discorso su di me. Ne sono felice. Ma da domani darò tutto per il Rosignano».

Il furetto è tornato. Anzi. Non è mai andato via. E incubi infiniti hanno iniziato a popolare le notti dei difensori del campionato di Promozione.

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