Tentato omicidio a Livorno, i familiari ora chiedono giustizia: «Paghino per ciò che hanno fatto»
Le condizioni di salute della diciassettenne migliorano: ha lasciato rianimazione. Una delle sorelle: «Lei non c’entra niente, voleva solo aiutare la donna picchiata»
LIVORNO. «Mia sorella in tutta questa vicenda non c’entra niente: era fuori dalla discoteca quando ha visto un uomo picchiare una donna. Voleva semplicemente aiutarla, capire cosa stesse succedendo, invece è successo ciò che sappiamo e ora rischia di non poter vivere la vita che voleva, di inseguire i suoi sogni. Chiediamo giustizia: queste persone devono pagare per ciò che hanno, non devono passarla liscia».
A parlare – Il Tirreno non la identifica con nome e cognome per non rendere riconoscibile la diciassettenne vittima del tentato omicidio – è la sorella della ragazza rimasta gravemente ferita alla gamba destra dopo quanto accaduto nella notte fra sabato 27 e domenica 28 settembre fuori dall’Appendaun di via Provinciale Pisana, alla periferia nord della città. L’adolescente, che si trovava fuori dal locale in compagnia di due sorelle, era intervenuta per difendere una donna «che veniva picchiata da Federico Gonzaga» (l’ex pugile poi arrestato per lesioni gravi ndr) – spiega la sorella maggiorenne – poi è stata aggredita dallo stesso istruttore di boxe, che le ha buttato via il cellulare. L’insegnante della “nobile arte”, subito dopo, è stato raggiunto dalla comitiva di peruviani amici della ragazza, chiamati per difenderla, ma si è allontanato verso il “Bon Ton” di via Pian di Rota, dove è salito a bordo dell’auto guidata dalla compagna, Ievanet Cambara Zorril, che tornando verso la discoteca, all’altezza dell’officina “Avd Service”, si è scagliata contro la comitiva di sudamericani come se fosse in un assurdo videogame, cercando di travolgerli tutti e ferendo gravemente la diciassettenne e un suo amico diciottenne, colpiti dalle lamiere di una macchina parcheggiata dietro alla quale si erano riparati per proteggersi. La ragazza, in particolare, è rimasta con la gamba schiacciata fra il mezzo in sosta e un muretto, rimediando una frattura scomposta a tibia e perone. Mentre il diciottenne è in ospedale con un ginocchio lesionato.
Alessandra – è un nome di fantasia per preservarne l’anonimato – come sta sua sorella?
«Dal momento dell’incidente è stata ricoverata in rianimazione, ma ora ha lasciato quel reparto. La gamba ha ferite importanti, i medici mi hanno assicurato che stanno facendo il possibile per scongiurarne l’amputazione e, da quello che mi hanno detto l’ultima volta che ci ho parlato, probabilmente ci riusciranno. Mia sorella è stata già sottoposta a un intervento chirurgico, ma potrebbe non essere l’ultimo. Speriamo che possa vivere un’esistenza normale».
Ci ha già parlato?
«Sì, siamo tutti qui in ospedale per assisterla. Mi ha detto che lei in tutta questa vicenda non c’entra nulla e che voleva solo aiutare quella donna in difficoltà, mentre veniva picchiata. Non si capacita ancora di ciò che le è accaduto».
Cosa chiedete ora?
«Giustizia: queste persone devono pagare per ciò che hanno fatto. Non possono passarla liscia, quello che è successo è inaudito».
Lei conosce Federico Gonzaga e Ievanet Cambara Zorril?
«No, al massimo potrei averli visti qualche volta in giro, ma non li conosco. Neanche mia sorella, ma sicuramente abbiamo dei conoscenti in comune».
Dei completi estranei, quindi.
«Sì, non ci ho mai parlato in vita mia. Ma domenica mattina, mentre eravamo in ospedale, siamo stati contattati dal babbo di Gonzaga, almeno così si è presentato al telefono. Ci ha chiesto di non denunciare il figlio, ma come è possibile farci una richiesta simile? Noi andremo avanti per la nostra strada, abbiamo già contattato un’avvocata».
Cosa gli avete risposto?
«Questo: che andremo avanti per la nostra strada, senza paura. Mia sorella ha subìto danni fisici importanti, oltre che psicologici. Servirà molto tempo affinché tutto, e noi lo speriamo, passi. La speranza, lo ripeto, è che lei possa vivere la vita che desidera e al momento non è facile prevederlo, visto che le ferite alla gamba sono molto importanti. Dopo essere stata investita ha trascinato l’arto sull’asfalto, i medici hanno infatti riscontrato altri problemi. Non capisco come certe persone possano fare cose del genere, per di più verso una ragazza di 17 anni, che non aveva alcuna colpa. Lei, infatti, mi ripete questo: che non ha colpe, che non c’entra niente, che non si capacita di tutta questa cattiveria esplosa nei suoi confronti».
Prima del tentato omicidio sua sorella era stata anche aggredita da Gonzaga?
«Sì, nel momento in cui cercava di soccorrere la donna che lui stava picchiando. Lui, ex pugile di 38 anni, se l’è presa con lei che è minorenne».
Conosce la donna che l’ex pugile stava picchiando fuori dal locale?
«No, ma so che poi è arrivato il marito per portarla in ospedale. Spero che dichiarerà tutto ciò che le è accaduto. Quando mia sorella è stata investita, in ogni caso, non era più lì, perché il coniuge l’aveva già portata al pronto soccorso».
Come stanno le altre due sue sorelle? Anche loro erano lì quando si sono verificati i fatti.
«Sì, erano insieme. Sono uscite dall’ospedale dopo diverse ore, nel tardo pomeriggio di domenica scorsa. Hanno ancora molti dolori, ma tutto sommato stanno bene. Ora sono a casa. I feriti erano quattro in tutto: le mie sorelle e l’amico diciottenne che ha salvato mia sorella diciassettenne, sollevandola».
Lui come sta?
«Non lo so esattamente, perché ho parlato molto velocemente con sua mamma. In queste ore siamo concentrati su mia sorella e non possiamo pensare ad altro. So che è ancora ricoverato e speriamo che presto possa essere dimesso».
È tornata in via Provinciale Pisana dopo la tragedia?
«Ci sono tornata domenica scorsa, verso le 23. Volevo vedere cos’era accaduto, perché io non ero lì. Sono andata anche per cercare il cellulare di mia sorella diciassettenne: l’ho trovato sotto al muretto danneggiato, era nascosto lì. Mentre andavamo verso via Provinciale Pisana ero con una delle mie sorelle che durante quei momenti drammatici era lì: a un certo punto, mentre eravamo in viaggio, mi ha chiesto di fermarmi perché psicologicamente non riusciva a rivedere quel posto. È stato un trauma per lei, un trauma per tutti noi: per questo ora vogliamo che la giustizia faccia il suo corso. Quanto accaduto è inammissibile: mia sorella ha il diritto di vivere una vita normale».
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