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Livorno, schianto in via Firenze. Parla il tassista ferito: «Andava come un missile, sono vivo per miracolo»

di Stefano Taglione
Il tassista Carlo Monzani
Il tassista Carlo Monzani

Parla Carlo Monzani, 53 anni, conducente e storico volontario della Svs: «Io sono passato col "verde", poi mi ha preso in pieno come un razzo e il mio Mercedes Vito si è ribaltato. Ho visto la morte in faccia»

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LIVORNO. «Avevo appena superato il semaforo verde fra via Mastacchi e via Firenze, dato che ero diretto in via dei Carrozzieri, quando quest’auto mi ha colpito alla velocità di un missile. Mi sento miracolato: ho sei costole rotte e problemi a un polmone, potevo morire. A un certo punto ho veramente temuto di non farcela: ho visto la morte in faccia».

A parlare è Carlo Monzani, 53 anni e tassista a Livorno da sei, dato che ha iniziato a lavorare nel settore nel 2019, subito prima dell’emergenza Covid. Conosciutissimo in città, visto che è volontario della Svs di via San Giovanni dal 1986, è rimasto coinvolto insieme ai due clienti di circa 50 anni che stava accompagnando verso il centro nel terribile incidente stradale avvenuto attorno alle 3,30 della notte fra domenica 31 agosto e lunedì primo settembre. Le sue condizioni di salute sono sempre rimaste stazionarie: fatica a respirare, dato che l’impatto gli ha provocato problemi a un polmone e alle costole, fratturate.

Monzani, innanzitutto come sta?

«Insomma. Poteva andare molto peggio: ho sei costole rotte e problemi a un polmone appunto. Lo scontro è stato terribile, non lo dimenticherò mai. Da soccorritore con quasi 40 anni di esperienza sulla strada ho visto di tutto, ma cose del genere mai...». Si spieghi meglio. «Questa macchina viaggiava come un razzo. L’urto è stato tremendo: in pochi secondi il mio Mercedes Vito, comprato appena otto mesi fa, è finito ribaltato contro lo spartitraffico con me i due clienti a bordo. Ora è distrutto: non c’è rimasto più nulla».

Lei è passato col verde?

«Sì, comunque a bordo del mio mezzo ci sono le telecamere e quindi è tutto documentato. Ciò che dico, quindi, sarà facilmente verificabile dalla polizia municipale. Il conducente dell’auto, che viaggiava ad altissima velocità, ha invece preso in pieno il “rosso”».

Sul momento è fuggito?

«Sì. Io non l’ho visto, me lo hanno detto e poi confermato. Infatti in ospedale con me hanno trasportato la sua fidanzata e un’amica di lei, ovvero le persone a bordo con lui. Lui non è stato trovato, da quel che mi hanno detto si è allontanato a piedi, non so perché si sia comportato in questa maniera. Non capisco come abbia fatto a non farsi niente, visto che il mio taxi è distrutto e la sua auto, finita nell’altra corsia, è comunque parecchio danneggiata».

A un certo punto ha pensato di non farcela.

«C’è stato un momento in cui non sapevo come sarebbe andata a finire. Ho temuto di morire, ho visto la morte in faccia. Sono stato molto fortunato, anche se la riabilitazione non sarà chiaramente banale».

Cosa ricorda di quel che è accaduto?

«Dopo lo schianto il taxi era ribaltato a metà e io ero incastrato, non riuscivo a uscire. I due clienti ce l’hanno fatta da soli, io no. A un certo punto è arrivato un ragazzo, mi ha detto di essere il figlio di un poliziotto e che mi avrebbe dato una mano. È rimasto con me tutto il tempo. Lo ringrazio. Poi sono arrivati gli agenti delle volanti, i primi ad accorrere dopo l’incidente. Hanno rimosso il poggiatesta del sedile e mi hanno aiutato a uscire. Ho camminato sulla fiancata interna uscendo dal portellone posteriore del mio Mercedes Vito di appena otto mesi: se non avessi avuto un mezzo così grosso quella macchina mi sarebbe entrata dentro e avrebbe ammazzato me e i clienti, ne sono convinto. Poi mi hanno portato in ospedale a Livorno con l’ambulanza. In quel momento, quando ero intrappolato, ero confuso: ho temuto il peggio, facevo fatica a respirare anche perché erano scoppiato gli airbag e quella polvere là è fastidiosissima».

Al pronto soccorso ha fatto tutti i controlli.

«Sì, come la risonanza magnetica ad esempio. Ho questo problema a un polmone e sei costole rotte. Ma l’importante è essere sopravvissuti, non era scontato. Voglio ringraziare chiunque mi abbia aiutato, in particolare i poliziotti, degli “angeli” per me».

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