Il Tirreno

Livorno

La sentenza

Livorno, condannato un livornese di 24 anni per il colpo alla piscina della Bastia

di Stefano Taglione
Una volante della polizia fuori dalla piscina dopo il furto
Una volante della polizia fuori dalla piscina dopo il furto

Il furto del materiale tecnologico risale all'ottobre del 2019: otto mesi con pena sospesa per il giovane labronico. Assolto dall'accusa di aver rubato 3.500 euro di stipendi dei dipendenti del bar

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LIVORNO. È stato condannato a otto mesi di reclusione e 200 euro di multa, con la sospensione condizionale della pena, per aver rubato dalla piscina della Bastia due monitor per computer da 17 pollici, una webcam, tre cavi Hdmi (acronimo di “High-Definition Multimedia Interface”, servono per collegare ad esempio un pc al televisore e costano meno di dieci euro l’uno), materiale vario da cancelleria, due orologi analogici, una cassa acustica subacquea e un alimentatore multifunzione. Questa la decisione del giudice del tribunale Gianni Osti nei confronti del ventiquattrenne livornese Alessandro Di Grande per un furto avvenuto nell’ottobre del 2019. Contestualmente dal bar interno “Bocconcino dello sport” di Michela Rudas sparirono 3.500 euro (i soldi per gli stipendi dei dipendenti), ma da quest’accusa il giovane, difeso dall’avvocato Cristiano Spadoni, è stato ritenuto non colpevole per estinzione del reato in quanto, essendoci un difetto di querela, non ci sono le condizioni per la procedibilità penale.

Le motivazioni

«Elemento determinante che consente di individuare il Di Grande quale responsabile del reato – si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado – è l'individuazione di due sue impronte papillari collocate nel vetro degli arredi divisori posti al front-office della struttura. La posizione di tali impronte è di particolare rilievo in quanto l'autore del reato, secondo quanto ricostruito dai poliziotti nel sopralluogo, ha certamente scavalcato la struttura che separava gli uffici dalla zona aperta agli utenti dell’impianto sportivo. Per fare questo – prosegue il giudice – deve essersi arrampicato facendo leva con le proprie mani nella sommità della parte di vetro divisorio del bancone. In effetti, sulla base in muratura del front-office, è stata rinvenuta una impronta di una scarpa proprio in corrispondenza di tre impronte papillari lasciate sul vetro divisorio: tale accertamento consente di apprezzare con certezza come l’autore del reato sia salito sul mobile e poi lo abbia scavalcato superando il vetro facendo presa con la mano sulla sommità per fare leva e passare dall'altra parte».

«Non era un cliente»

Non essendo un frequentatore della piscina, i poliziotti, hanno quindi stabilito che la responsabilità di quanto avvenuto non poteva essere che del ventiquattrenne. «Di Grande non aveva alcuna relazione con tale ufficio, né tanto meno risulta aver frequentato la piscina circostanza peraltro nemmeno allegata dal prevenuto l'unica ragione per giustificare la presenza delle sue impronte in quel punto cosi particolare – si legge ancora nella sentenza – in tempi coerenti e contestuali con il fatto illecito, è quella di ritenere il Di Grande autore dell'azione di scavalcamento del mobile di front-office. Poiché tale azione costituisce l'elemento caratterizzante la condotta delittuosa, deve essere individuato come l'autore del reato».

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