Il Tirreno

Livorno

Livorno, «picchiava la compagna»: chiesti tre anni di reclusione per il dipendente di un ente locale

di Stefano Taglione
Due guardie giurate all'ingresso del tribunale (foto d'archivio)
Due guardie giurate all'ingresso del tribunale (foto d'archivio)

I quarantunenne livornese avrebbe afferrato la donna per braccia e capelli distruggendo gli arredi dell'abitazione davanti ai figli minorenni

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LIVORNO. «Devi stare solo con me, mi devi aspettare e non puoi uscire da sola. Non ti devi azzardare a uscire». Avrebbe insultato la sua compagna, alla presenza dei figli minorenni, strattonandola per le braccia e per i capelli e distruggendo i mobili e gli arredi della loro casa. Per questo, per un quarantunenne livornese che lavora in un ente pubblico locale livornese, sono stati chiesti tre anni di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia. A decidere sulla richiesta della procura durante la prossima udienza sarà fra pochi giorni il collegio del tribunale – presieduto dal giudice Ottavio Mosti, con a latere i magistrati Andrea Guarini e Tiziana Pasquali – mentre proprio nelle ultime ore l’imputato, che dal giorno di Santo Stefano dello scorso anno si trovava nel carcere delle Sughere a causa del mancato rispetto dei provvedimenti cautelari, su richiesta della sua avvocata Barbara Luceri si trova ora ai domiciliari. Il Tirreno omette il nome dell’uomo coinvolto in questa vicenda per non rendere riconoscibile l’ex convivente vittima delle presunte violenze avvenute, almeno stando alla tesi accusatoria, fra le mura domestiche dell’ex abitazione coniugale.

L’accusa

Il dipendente pubblico – sempre stando alla ricostruzione dell’accusa, con la pubblico ministero Antonella Tenerani titolare del fascicolo penale – le avrebbe «a causa di un ossessivo senso di possesso per cui le impediva di lavorare e di contribuire all’economia familiare – questa l’accusa – impedito di mantenere contatti e trasparenti rapporti con i genitori e i familiari in generale, impedendole di uscire di casa e di frequentare i suoi amici, con un costante controllo nei suoi confronti attraverso videochiamate, anche quando la donna usciva per fare la spesa». In caso di mancate risposte, inoltre, avrebbe attuato «controlli immediati a casa, minacciandola e insultandola».

La ricostruzione

Gli episodi contestati sarebbero avvenuti, secondo la denuncia della vittima, dal 2020 – in corrispondenza delle maggiori restrizioni causate dalla pandemia da Covid-19, con il “lockdown” prima e il coprifuoco notturno poi – alla fine di aprile dell’anno scorso, quando lo ha querelato. Per questo il tribunale gli aveva imposto il divieto di avvicinamento sia a lei, che ai luoghi da lei abitualmente frequentati e ai figli, con il divieto assoluto pure di contattarli. Nonostante questo, sempre a giudizio della procura, la donna – che è livornese e ha 39 anni – avrebbe ricevuto da lui diversi messaggi via Whatsapp. Fino a che palazzo di giustizia non ha imposto la carcerazione preventiva proprio per evitare la reiterazione di questi comportamenti, allo scopo di preservare l’incolumità della presunta vittima delle violenze. Misura cautelare che proprio negli ultimi giorni è stata sostituita, su richiesta della difesa, da quella meno invasiva per la libertà personale degli arresti domiciliari. Per il quarantunenne, nel corso del processo, era stata inoltre disposta da palazzo di giustizia una perizia psichiatrica.

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