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L'intervista

Livorno, il prefetto: «Più sicurezza intorno allo stadio, con la Serie C controlli stringenti»
 

di Stefano Taglione
Il prefetto di Livorno, Giancarlo Dionisi
Il prefetto di Livorno, Giancarlo Dionisi

Giancarlo Dionisi chiama in causa il Livorno calcio: «Deve investire nell’impianto, al Picchi necessario un salto di qualità per gestire il maggior afflusso dei tifosi»

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LIVORNO. «I tifosi? Non sono loro il problema, anche le società sportive devono garantire la sicurezza negli impianti. Ora, ad esempio, con la promozione in C del Livorno diventa imprescindibile ricalibrare il dispositivo di sicurezza attorno all’Armando Picchi. La nuova categoria comporta un salto di qualità in termini di ordine pubblico, richiedendo controlli più stringenti, impianti aggiornati e procedure adeguate al maggior afflusso di tifosi e alla maggiore visibilità».

A parlare è il prefetto Giancarlo Dionisi, che fa il punto sulle operazioni ad alto impatto organizzate da ottobre ad oggi – 55 arresti, 271 denunce e 8.677 persone identificate alcuni dei numeri – soffermandosi sul mondo dello sport, in fibrillazione dopo i daspo ai quattro tifosi Pielle per i disordini susseguenti alla partita persa di un mese fa contro Ruvo al PalaMacchia, auspicando una presa di coscienza delle società sportiva, che devono collaborare con le istituzioni per la sicurezza dei luoghi dove si disputano le partite.

Prefetto, i numeri delle operazioni ad alto impatto sono molto significativi. Cosa rappresentano per Livorno?

«Una cesura netta con il passato. Ho voluto, insieme alle forze di polizia e con il supporto del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, dare un segnale forte, visibile e di discontinuità. Basta con le zone lasciate a loro stesse, basta con l’idea che esistano aree dove lo Stato è assente. Stiamo cercando di portare ordine, legalità e fiducia nei quartieri più sensibili. Lo abbiamo fatto con oltre 8.600 controlli a persone, 55 arresti, 217 denunce, 20 armi sequestrate e più di due chili e mezzo di droga sottratti».

Qual è stata la chiave per ottenere questi risultati?

«La coesione istituzionale e la presenza sul territorio. Il merito è delle donne e degli uomini della polizia di Stato, dei carabinieri, della guardia di finanza, dei militari dell’operazione “Strade sicure” e della polizia locale. Ma anche dell’Asl, dell’ispettorato del lavoro, dei vigili del fuoco e di tanti altri attori pubblici. E qui voglio ringraziare in modo particolare il Comune, che non ha mai fatto mancare il proprio sostegno, con senso delle istituzioni e spirito di servizio. Questo è un modello che funziona perché coinvolge tutti».

Ha parlato spesso del valore della prevenzione, accanto all’azione repressiva. In che senso?

«La prevenzione è la prima forma di sicurezza. Vuol dire esserci, ogni giorno, visibilmente. È rassicurazione e deterrenza insieme. Per questo ho fortemente voluto, e oggi è realtà, il ritorno delle pattuglie appiedate, dei poliziotti di quartiere, della polizia locale fra la gente. Nei mercati, nei portoni, sui marciapiedi. Parliamo di agenti che conoscono le persone, i negozianti, le situazioni del territorio. Questo crea fiducia, aumenta la percezione di sicurezza e mette pressione su chi pensa di delinquere. Non è solo controllo: è relazione, è presidio civile».

In questa visione si inserisce anche il ruolo del commercio locale?

«Sì, il commercio di vicinato è un alleato della sicurezza. Dove ci sono negozi aperti, gente che lavora onestamente, luci accese fino a sera, la città è viva. E una città viva è una città sicura. È per questo che abbiamo bisogno che l’imprenditoria sana torni a occupare gli spazi urbani: non solo per fare economia, ma per popolare il territorio, contrastare l’abbandono e ridare fiducia alle persone. I cittadini più fragili, le famiglie, gli anziani: tutti si sentono più sicuri quando trovano una rete sociale attiva intorno a sé».

Vetrine accese per aumentare la percezione di sicurezza, insomma.

«Esatto. La sicurezza di una comunità non si esaurisce nell’azione delle forze di polizia: passa anche attraverso strade vive, vetrine accese, relazioni di prossimità. È per questo che le istituzioni e le associazioni di categoria devono collaborare concretamente per sostenere il commercio locale, con progetti finanziati e misure che incentivino chi investe sul territorio. Dove c’è commercio, c’è presidio sociale, e dove c’è presidio, c’è più sicurezza. Contrastare la desertificazione commerciale è un obiettivo condiviso che richiede uno sforzo corale: servono strumenti concreti, risorse pubbliche e una visione comune tra Stato, enti locali e rappresentanze di categoria. Il commercio di vicinato è una ricchezza economica, ma anche un baluardo contro il degrado urbano e la microcriminalità. Sostenendolo, rafforziamo il tessuto sociale e la percezione di sicurezza in città».

Lei ha più volte sottolineato che la sicurezza non è una questione esclusiva delle forze di polizia. In che modo anche lo sport e le imprese possono contribuire a un clima più sicuro?

«La sicurezza è un bene collettivo e condiviso: la fanno anche le imprese, le associazioni e le realtà sportive. In questo senso lo sport può e deve essere una palestra di legalità e rispetto, e va tenuta alta l’attenzione su fenomeni come la violenza negli stadi. Penso, ad esempio, al lavoro che stiamo svolgendo per la sicurezza al PalaMacchia, in occasione delle partite più delicate. Ora, con la promozione del Livorno, diventa imprescindibile ricalibrare il dispositivo di sicurezza attorno allo stadio. È fondamentale che il Livorno calcio investa ulteriormente in sicurezza, in stretta collaborazione con le istituzioni, per garantire eventi sicuri, partecipati e in un clima di legalità».

Qual è la direzione futura?

«Andremo avanti, con determinazione. Le operazioni ad alto impatto continueranno. Continueremo a presidiare il territorio, ad ascoltare i cittadini, a collaborare con tutti. Livorno ha dimostrato che la sicurezza si costruisce insieme, giorno per giorno, con fermezza e responsabilità. E noi non abbasseremo la guardia».

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