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Livorno e i gabbiani: la conquista urbana del mefistofelico pennuto è cosa fatta

di Giorgio Billeri
Livorno e i gabbiani: la conquista urbana del mefistofelico pennuto è cosa fatta

La città invasa dal volatile meno simpatico ai suoi condomini

15 dicembre 2023
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LIVORNO. Per strada, pieno centro, a Livorno. Lo guardi, ti guarda. Ti avvicini, non si muove. Prima o poi volerà via, tutti i volatili spaventati lo fanno. Ma lui, il signor Gabbiano Reale, spaventato non è più. Ha l’occhio fisso e la postura di Clint Eastwood diretto da Sergio Leone. L’attrazione fatale per il sacchetto dell’organico è così superiore al timore dell’umano da rovesciare gli antichi rapporti di forza: c’erano una volta i cani e i gatti randagi, ora si sono ritirati come Napoleone a Waterloo nelle campagne: non ne vedi più uno. Ora comanda lui, trionfante, tracotante, di eleganza pari solo alla molestia: il gabbiano, già.

Meglio disoccupato all’Ardenza che ingegnere a Milano, scandisce un antico e discutibile motto popolare coniato dalla gens labronica per magnificare l’essenza di una vita trascorsa a respirare salmastro piuttosto che lo smog in tangenziale. I gabbiani, diabolici, devono averlo letto da qualche parte e lo hanno fatto proprio: meglio gabbiano a Livorno che colombo sul sagrato sotto la Madunina.

E prova a dar loro torto: qui hanno tutto, il mare pieno di pesci (meno di prima, ma insomma) il porto, il clima temperato nove mesi all’anno, mastelli e sacchetti da depredare, popolati mercatini open air in pieno centro, qualche discarica a portata di volo: un Bengodi.

Le cifre dell’invasione degli ospiti dal becco adunco a Livorno fanno impressione: solo quindici anni fa le coppie censite in città erano un’ottantina, oggi se ne stimano qualcosa come seicento. E ogni coppia punta un tetto e costruisce il nido, in subdolo silenzio: seicento tetti. Lei, la femmina, se ne sta sempre lì, pioggia o sole, e respinge qualsiasi oggetto volante si avvicini, una torre di controllo. Lui se ne va in giro, si procaccia il cibo, che tanto difficile a Livorno non è. Quando ti accorgi che il gabbiano reale ha scelto il tuo palazzo, la tua villetta, il tuo balcone è troppo tardi, il volatile così dolce nella letteratura e nella musica (“nel cuore aveva un volo di gabbiani”, chi non ricorda i Cugini di Campagna) si trasforma in una spietata macchina da attacco, da schiamazzi, da deiezioni con destinazione cruscotto appena lavato dell’auto.

Il malcapitato, se vuol godersi la carezza del sole sul proprio terrazzo, viene respinto con perdite, si moltiplicano le notizie di attacchi ad altezza d’uomo, anche per strada, ma anche di cibo strappato dalle mani dei bambini nei giardinetti della scuola.

Da fine febbraio a fine maggio, periodo scientificamente destinato alla procreazione, contro i gabbiani puoi soltanto puntare al pareggio, ovvero a una convivenza civile, senza disturbarsi troppo. Ma se fino a qualche anno fa la logica migratoria della specie garantiva la pace al povero livornese per estate, autunno e parte dell’inverno, adesso sono nati i gabbiani stanziali, quelli che proprio non schiodi più. Macchè paesi caldi, macché mari del sud: il paradiso è qui, prima soltanto le isole, poi Livorno, adesso anche Pisa e Pontedera, seguendo l’inesauribile marea di cibo e l’irresistibile profumo delle discariche. Ma se ne vedono anche oltre, fino a Firenze. Nessun dorma allora, nessuno si illuda di godersi sonni tranquilli: all’alba, inevitabilmente parte il festival del richiamo, quel moltiplicarsi di suoni gutturali fuori alle finestre, gradevoli come le unghie sulla lavagna, lui chiama lei, lei chiama lui, poi arrivano gli amici. Manca solo lo spritz.

Le amministrazioni, compresa quella livornese, fanno il possibile. Raccomandano sistemi sonori e visivi per salvare i tetti dai nidi, avvisano i cittadini di non dare cibo a questi ospiti, perché un gabbiano diventa come un diamante, è per sempre. Si cerca di tenere le strade pulite, di ritirare l’immondizia con puntualità. Ma non basta: ormai la conquista urbana del mefistofelico pennuto è cosa fatta. Non dappertutto in Toscana: la Maremma, ad esempio, non sembra essere la terra promessa dei becchi adunchi.

I livornesi, intanto, si adeguano, in qualche modo si abituano e sperano che il “sorteggio” del nido sui tetti, al prossimo giro, tocchi magari al vicino: che tanto simpatico non è.

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