Brioche, cappuccini, giornali e chiacchiere. Così il Bar Redi festeggia trent’anni di attività
Pietro Buonamano: «Mantenere la stessa clientela, significa aver fatto un bel lavoro». La figlia Jenny: «Lavorare in famiglia è più semplice, poi noi ci completiamo l’un l’altro»
LIVORNO. Il Bar Redi, situato all’incirca a metà dell’omonima via, compie 30 anni. Un traguardo davvero importante. E, col trascorrere del tempo, non ha perso il suo smalto, anzi. Fin dal mattino inizia brulicare di gente che arriva per fare colazione, per bere qualcosa, oppure per comprare il giornale, dato che in tempi recenti è diventato anche edicola e cartoleria.
Dietro ai banconi c’è il fondatore, Pietro Buonamano, svizzero di genitori italiani, arrivato nel nostro paese a 27 anni, e a Livorno per amore del mare. E la vita ha preso le sue direzioni. L’esperienza di un ristorante a Castiglioncello, e l’intuizione che lo ha portato verso una scelta decisiva.
«Qui c’era una latteria, alla vecchia maniera – spiega-; con le bambine piccole, e senza grandi idee sul cosa fare, decisi di rilevare quella storica attività. Piano piano l’abbiamo trasformata in un bar, quindi ci siamo allargati dal punto di vista della proposta; e annuncio, ma non svelo nulla, che altre idee stanno per decollare».
Un percorso lungo, pieno di emozioni. «Nel corso degli anni, con un’attività del genere, i momento negativi ci sono, inutile negarlo: parecchi pensieri, sedici ore di lavoro, la pressione di non poter sbagliare mai, ed esser sempre sorridenti anche quando ci sono problemi personali. Ma c’è anche tanto di positivo: incontrare persone, imparare da tutti, di qualunque cultura o stato sociale. E non ultima avere la gioia del cliente soddisfatto. Siamo in una zona residenziale, e riuscire ad avere le stesse persone in trent’anni, significa che hai fatto un bel lavoro. Una clientela affezionata».
Una struttura forte da superare indenne la crisi portata dal Covid. «Come detto, abbiamo tante proposte, oltre al bar. E questo ci ha consentito di restare aperti sempre. Con le limitazioni, ma evitando la chiusura totale. Siamo riusciti a fare un buon servizio».
Anzi a rilanciare. «Dopo la pandemia, ho pensato di fare un passo avanti. Ho chiamato alcuni progettisti e abbiamo ristrutturato tutto, chiedendo l’autorizzazione per diventare anche edicola e cartoleria. Eliminando in parte l’alimentare. Una mossa che si è confermata vincente».
Mentre l’intervista procede, le persone continuano ad entrare: un sorriso, due chiacchiere e un saluto. L’atmosfera che si respira all’interno del locale è di grande familiarità.
«Quando ho iniziato, in generale c’era più educazione, rispetto e sensibilità. Ma anche oggi non mi lamento, la zona è buona, nonostante i cambiamenti fisiologici. I prezzi sono molto aumentati, così come la disponibilità delle tasche. Le spese sono tante e ci sono meno soldi a disposizione per gli extra».
A fianco del padre, all’opera, c’è Jenny, una delle due figlie. L’altra attualmente lavora fuori, ma l’obiettivo è quello di coinvolgerla presto nell’impegno al negozio. «Siamo in famiglia – spiega Jenny -, e da certi punti di vista è più semplice, non avendo le ansie di un datore di lavoro che non ti mette a tuo agio. Con babbo, certo, ci punzecchiamo spesso e volentieri. M siamo equilibrati l’una con l’altro. Il nostro punto di forza? Il fatto di essere aperti da così tanto tempo e avere clienti molto affezionati. Qualcuno mi ha addirittura visto piccola, possiamo tranquillamente affermare che si sia creato un rapporto affettivo. Un segreto potrebbe essere l’onestà che abbiamo messo verso noi stessi e gli altri, che ha creato legami così importanti».