Paolo Nani show: il comico di fama mondiale in Fortezza Nuova
In scena “La Lettera”, 15 microstorie tutte da ridere. L'artista «Se non mi diverto io sono guai, mi piace la gente»
Livorno Aspettando la terza edizione del Con-Fusione Festival che si svolgerà dal 3 all’11 settembre ecco una serie di anteprime per ragazzi ma non solo. Si parte in Fortezza Nuova venerdì 29 luglio alle 21 con un ospite internazionale: Paolo Nani è ferrarese di nascita ma vive in Danimarca dal 1990 e soprattutto gira il mondo con i suoi spettacoli. “La lettera” che vedremo a Livorno, tratto da “Esercizi di stile” di Raymon Queneau, è un caso veramente eccezionale: lui lo porta in giro da 30 anni, sempre lo stesso e ogni volta diverso.
Definito dalla stampa internazionale “un classico della comicità” ha una trama molto semplice: la stessa storia è ripetuta in quindici modi diversi.
Per lo spettacolo i posti sono numerati, si possono scegliere acquistandoli online o al Teatro della Brigata dal lunedì al giovedì dalle 17 alle 20.
Le altre tre anteprime sono: il 30 luglio all’Arena Fabbricotti “Il mio segno particolare” di Michele D’Ignazio con Marco Zordan; un laboratorio di scrittura al Teatro della Brigata il 31 luglio; “L’Ulissea” di Giorgio Monteleone e Elena Farulli il 12 agosto al Museo di Storia Naturale.
«C’è uno spazio enorme – dicono Andrea Gambuzza e Ilaria Di Luca che organizzano il festival e che da anni lavorano con il loro Teatro della Brigata - per un teatro delle nuove generazioni che vada al di là dell’intrattenimento in stile Disneyland e che sia anche un rito condiviso tra genitori e figli. Il teatro diventa un’esperienza da attraversare insieme, per scoprire e dirsi emozioni che nella vita di tutti giorni fai fatica a condividere».
Il taglio internazionale, una dimensione che esce dal teatro di sola parola sono le linee guida del festival.
Paolo Nani queste caratteristiche le ha tutte: la definizione di “mimo” gli sta stretta, in scena non dice una parola ma racconta un sacco di cose.
«Il fatto di non parlare – spiega – ti permette di comunicare con il pubblico di tutto il mondo. Per me è molto importante girare il mondo, ti arricchisce la vita, si vedono tante cose diverse, tanti modi di vivere. A un aspirante attore direi sempre: viaggia».
Come ha fatto a resistere così tanti anni “La lettera”?
«Ne ho anche altri che sono in piedi da tanto tempo, “Arte di morire ridendo” o “Jekyll on ice”. Certo in trent’anni siamo cambiati tutti, se vedo un video di 10, 20 o 30 anni fa vedo che è cambiato il ritmo dei personaggi. All’inizio era più muto ora ho bisogno di fare più rumore perché oggi siamo diventati più consapevoli dei suoni ad esempio in un film. Ho avuto crisi periodiche ma tutte le volte lo spettacolo le ha superate. Dopo 5 anni mi dicevo “sta morendo”. Allora mi sono fermato e ho fatto un altro spettacolo, più drammatico che ha finito per contagiare “La lettera” che ha acquisito più profondità. Del resto tutti gli attori comici sono anche dei grandi attori drammatici, sono due facce della stessa medaglia, c’è il giorno e anche la notte. Oggi faccio del lavoro per mantenerlo vivo. In scena è una specie di jazz: ci sono delle cose fisse ma molto è improvvisato. Anche perché se non mi diverto io sono guai».
Come definirebbe i suoi spettacoli?
«Raffinati ma popolari. Non faccio spettacoli per i giornalisti o i critici, mi piace la gente, vedere come reagisce».
E ridono tutti?
«Una sera arriva una e mi dice: mia madre è molto anziana, seduta in prima fila rideva da morire, ero preoccupata. E la madre: non penserei a un modo migliore per andarmene. In Europa è così, va tutto bene, a parte con i piemontesi che non ridono, sorridono. Poi vengono e ti dicono: non ho mai riso tanto in vita mia, mi fa male la pancia. Non sono espansivi. Anche a Parigi e Madrid sono duri. Ai giapponesi piace tantissimo ma non lo dicono, si mettono le mani davanti alla bocca».l