La passione per le sette note in tandem con il fratello Manrico, ottimo cantante lirico
Stregato dalla fisarmonica
Maria Antonietta Schiavina
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Massimo Signorini fisarmonicista «Colpa di quel lunedì se ho fatto il musicista anziché il pivot»
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LIVORNO. La musica è entrata nella sua vita per caso, così come per caso ha fatto irruzione in quella del fratello maggiore Manrico, cantante basso molto apprezzato nella lirica. E poi non ha fermato più il percorso, portandolo a essere oggi fra i fisarmonicisti italiani più richiesti. Classe 1970, livornese, figlio di un operaio in pensione e di una casalinga «che hanno sempre amato la musica, insegnando questo amore anche a noi figli», una moglie, Giulia, pisana di origine cecinese, chitarrista e musicologa, un bambino di tre anni, Mattia, che ha incominciato a sentire Mozart quando era ancora nella pancia della mamma, Massimo Signorini sta preparandosi a un'estate densa di novità. Non ultima l'uscita di un libro, "Fisarmonica e interpretazione", sottotitolo "Un'introduzione e 50 interviste", Felici editore, che racchiude interviste a 50 personaggi musicali molto noti, fra cui il grande Zubin Mehta, sulla tematica della fisarmonica. Ma anche la realizzazione di un Cd con musiche di Bach che avranno le chitarre al posto dei cembali, inciso con l'Orchestra d'Archi Italiana, diretta dal violoncellista Mario Brunello, cui seguirà un tour internazionale che partirà in agosto e lo terrà impegnato per lungo tempo. Quando è entrata a far parte della sua vita la musica? «Nel periodo dell'infanzia, non solo della mia, ma anche di quella di mio fratello Manrico, maggiore di me di quattro anni, cantante professionista: attualmente è nel cartellone dell'Arena di Verona per la stagione operistica». Come è nata questa passione? «Per caso, nonostante i nostri genitori, che provengono dalla classe operaia, abbiano avuto sempre un debole per l'ascolto sia della musica popolare che di quella lirica». Ci racconti. «Diciamo che tutto è accaduto per colpa di un lunedì». Un lunedì? In che senso? «Trentacinque anni fa, sia io che Manrico eravamo pronti per iniziare un percorso nel basket: essendo già molto alti, io sono 1 metro e 91 e lui 2 metri e 01, ci facevano la corte gli insegnanti di basket, che quando camminavamo per strada ci rincorrevano per convincerci a iscriverci ai loro corsi. Così un lunedì mamma e babbo decisero di portarci in una palestra». E vi iscrissero a basket. «No, perché la trovarono chiusa. Tornando a casa ci fermammo in un negozio di dischi, dove incontrammo un insegnante che ci propose di frequentare un corso di musica. E il basket ha lasciato il posto ad altri progetti». Galeotto il lunedì insomma. Ma questa passione poi ha creato in voi due degli antagonismi? «Al contrario, Manrico e io siamo legatissimi, sia a livello professionale che affettivo, tanto che spesso facciamo dei concerti insieme». Che valori ha portato la musica in voi? «E' stata sempre un bel gioco, la nostra migliore amica che ci ha allontanato dalla strada e dai pericoli». Lei è sposato e ha un bambino piccolissimo. Come ha conosciuto sua moglie? «Grazie alla musica che, come ho scritto nella premessa del mio ultimo libro, "mi ha dato tutto, l'attività concertistica, l'amore e anche un figlio"». Ricorda il suo primo concerto? «Sì, l'ho tenuto al Circolo lirico Galliano Masini di Livorno, dove all'interno c'era una piccola associazione musicale denominata "I Pionieri", guidata da un signore anziano di nome Piero, a cui sarò sempre grato». Cosa ha provato quando si è trovato davanti al pubblico? «Se si inizia da piccoli tutto è più semplice e naturale. Ricordo una grande tranquillità e gli applausi dei miei genitori e dei miei amici». La prima dote di un fisarmonicista? «Come per tutti i musicisti un buon metodo per gestire le ore di studio e la capacità di fare delle rinunce». Chi è stato e chi è oggi il suo mito musicale? «Amo tutta la musica purché sia suonata con stile e cognizione di causa. Ma ho avuto una grande passione per Bèla Bartòk, compositore, pianista ed etnomusicologo ungherese, studioso della musica popolare dell'Europa orientale e del Medio Oriente». E il suo maestro? «Ne ho avuto diversi e tutti importanti. Bruno Giovannetti, il primo, che mi ha indirizzato. Poi, per un percorso più specifico, Fabio Ceccarini. Ma il mio cammino professionale è iniziato al Conservatorio Cherubini di Firenze sotto la guida del maestro Ivano Battiston e con i seminari di Salvatore di Gesualdo». Quando suona si estranea da ciò che la circonda o resta con i piedi piantati per terra, gli occhi aperti e le orecchie vigili? «Mi piace guardare il pubblico e l'ambiente in cui suono, sia prima, che durante e dopo il concerto. La musica è emozione e come tale va comunicata ma anche "osservata"». Ha degli hobby? «Il mio hobby è il mare». Ha mai suonato su una spiaggia? «Una volta a Igea Marina, dove per Ferragosto si aspetta l'alba ascoltando concerti. E sono molto legato all'isola del Giglio dove tutti gli anni tengo dei concerti sulla Rocca, a Giglio Castello». Come faceva un tempo Uto Ughi. Siete amici? «Ci incontriamo, ma non siamo amici, mentre frequento la famiglia Petracchi, Daniela e Franco, grandi musicisti anche loro innamorati del Giglio». Non ha mai pensato di suonare la sua fisarmonica sulle rocce di Calafuria? «No, ma mi piacerebbe, anche se non è facile perché con il salmastro si potrebbe danneggiare seriamente qualunque strumento musicale». Suo figlio è molto piccolo. Diventerà anche lui un musicista? «Mattia respira musica dal mattino alla sera, ma sia io che mia moglie non gli vogliamo imporre nulla, perché potremmo ottenere l'effetto contrario. Quando Giulia era incinta facevamo ascoltare a nostro figlio Mozart, l'opera lirica, il jazz. E ora, se sta giocando, quando accendiamo la radio o mettiamo un disco, si ferma e ascolta. Ma deciderà da solo quale strada prendere da grande». La fisarmonica per un certo periodo è stato uno fra gli strumenti più sottovalutati o addirittura cancellati, mentre oggi è molto amato. A cosa crede si debba questo ritorno? «A musicisti che le hanno dedicato tutta la loro vita, come Salvatore di Gesualdo, ma anche ad altri grandi esponenti di tutti i generi musicali, che l'hanno rivalutata. Nel tour che mi porterà in giro con l'Orchestra d'Archi Italiana, ci saranno 4 concerti per altrettante fisarmoniche, al posto dei 4 cembali che Johann Sebastian Bach aveva previsto per le sue composizioni. Una grande prova che attendo con ansia». Oltre a suonare lei insegna. Ci sono ancora ragazzi che hanno voglia di imparare seriamente la musica? «Pochi. Ma il problema non è loro, bensì della società. Una società che non mi piace, perché distrugge i valori e quelle discipline che formano i ragazzi nella scuola. I mass media in particolare hanno grosse colpe». Nei suoi corsi ci sono più femmine o maschi? «Sono alla pari». Si può vivere bene di musica? «Dipende che cosa si intende per vivere bene. A me basta poco per essere felice e mi sono sempre accontentato delle cose semplici». A proposito di cose semplici, come considera Livorno? «Una città non semplice. Bisogna essere livornesi per capirne difetti e pregi e per amarla. Potrebbe essere molto più bella, come lo era prima della seconda guerra mondiale...». Se dovesse paragonarla a uno strumento musicale quale sceglierebbe? «Un'intera orchestra perché Livorno è un porto aperto a tutti».
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